26 dicembre 2006

Regali di Natale

Come non parlare del Natale, soprattutto ora che è appena passato. Non ho intenzione di mettermi qui e fare una filippica su cos’è il Natale o cosa dovrebbe essere. Disquisire di consumismo o di pace globale (anche se lo spererei). Voglio, invece, porvi una domanda. Quanti di voi conoscono qualcuno che odia il Natale e questo periodo di feste? Penso un po’ tutti.
Ecco, vi siete mai fermati a chiedervi il perché di ciò?
Io non mi sono fermato, essendo in tangenziale di ritorno a casa dalla cena aziendale, per l’appunto non mi sono fermato ed ho cercato una spiegazione. Le cene aziendali sono una di quelle cose che non ti fanno amare questo periodo. Sei “costretto” a vedere, fuori dall’orario di lavoro, colleghi che già normalmente fai fatica a sopportare. Avendo il tuo capo seduto a fianco, non ti puoi godere neanche la tavola, per non fare brutte figure. L’immagine è molto nel campo della consulenza. Dover ascoltare il solito direttore, che pomposo, parla di cifre e di trading positivo, di sviluppo ed investimenti, ma che se gli chiedi un aumento ti guarda indignato come se ti avesse colto a rubare in chiesa. Colleghi che ti parlano soltanto di lavoro o dei pettegolezzi dell’ufficio. Se ci provi con la segretaria, o con una delle poche colleghe, ti ritrovi sulla bocca di tutti alla pausa caffé il giorno dopo, e dal capo a fine settimana. E per finire monti la faccia di bronzo più lucida che hai e fai gli auguri, meno sinceri, a tutta questa fauna con cui dividi l’habitat aziendale.
Sono anche uno dei fortunati che riceve il pacco dono aziendale. Proprio un pacco. Ma non dovrei lamentarmi c’è chi sta peggio.
E qui nasce tutto. Chi non ama il Natale, a mio avviso non lo ama perché: o non riceve regali o riceve cose che non gli piacciono. È vero che si suol dire “a caval donato non si guarda in bocca”, ma è anche uso rispondere che “i denti glieli tolgono dal c…”. Se ci fate caso, le cose che davvero danno fastidio non sono: le giornate passate freneticamente di negozio in negozio a litigare con la gente per accaparrarvi l’attenzione dello stressantissimo commesso, il quale alla fine vi dice che quello che cercate è esaurito, come lui. O i pranzi/cene con i familiari che potrebbero sfamare un paese del terzo mondo. Lunghi come film di Kieslowski e con la stessa allegria. L’incontro con parenti che ti fanno le solite fastidiose domande su famiglia e lavoro, e se non rispondi che stai per diventare top manager e che la tua fidanzata, bellissima ovviamente, con cui a breve convolerete a giuste nozze per poter aumentare il numero di terrestri, ti fissano con gli occhi che già sbadigliano pensando che sei il solito fannullone poco serio che campa sulle spalle dei genitori.
Ed ecco che arriva lo scambio dei regali. Cosa può succedere:

1. il regalo non ti piace. Odi l’odore delle candele e non indosseresti mai il maglione, di colore improbabile, con ricamato un alce che beve in un laghetto, di tre misure più grande o piccolo, che ti è stato regalato.


2.il regalo ti piace, infatti ne hai ricevuti ben quattro, oltre ad averlo comprato tu stesso un mese prima.


3.il regalo è lo stesso che hai fatto tu a loro l’anno prima, e quando dico lo stesso intendo proprio lo stesso

4.sei allergico a metà dei componenti che costituiscono il regalo, e questo è risaputo


5.il regalo è stato fatto a te ma pensando a tutta la famiglia, cioè appare il tuo nome sul biglietto, ma il regalo non è tuo.


6.il regalo vorrebbe essere utile, solo che non sai come adoperare uno sbuccia mele automatico che sbuccia solo mele geneticamente modificate con forma perfettamente rotonda e superficie liscia come un tavolo da biliardo.


7.il regalo è un libro/disco/film che hai già letto/sentito/visto e ti fa totalmente schifo

8.il regalo è scaduto o non funziona


9.mentre a te regalano, se sei fortunato, il primo modello o quello economico al cugino più antipatico regalano l’ultimo modello o la versione delux

10.uno dei due non ha fatto il regalo all’altro.

Mi fermo qui perché, quando si inizia a catalogare qualcosa, tra eccezioni e precisazioni si potrebbe benissimo andare avanti per giorni.
Ed ecco che tutto si restringe all’aver ricevuto almeno un bel regalo. Un regalo che non solo ti piaccia. Ma che ti sorprenda, ti emozioni, ti faccia ridere e piangere allo stesso momento. Un regalo che vada oltre lo spacchettamento. Un regalo fatto con il cuore e con la testa. Un regalo che ti faccia capire che hai fatto bene e che sei apprezzato o per i più romantici amato.
Quindi ode al consumismo con concetto. E non preoccupatevi c’è sempre la befana ed il suo carbone a vendicarvi dei regali ricevuti.

P.S. chi partecipa alla riffa post natalizia quest’anno?

26 novembre 2006

DOVE SEI?

Sono uno scapolo impenitente. A voler ripetere le solite battute per sdrammatizzare la mia situazione sentimentale dovrei dire che sono single per scelta…scelta delle donne.
Da qui inizia il cammino che porta a sentirti dire: ”non ti preoccupare troverai la donna giusta quando meno te lo aspetti”. Beh se è davvero così, non la troverò mai, visto che l’aspetto da tempo. E qui partono aneddoti personali o di amici fino ad arrivare a conoscenti e figli di amici della portinaia del palazzo della zia del proprio dentista, che dovrebbero rincuorarti ed invece ti fanno solo girare le scatole. Pensi: perché a loro sì ed a me no?
Provate ad indovinare ora qual è il prossimo passo in queste situazioni… i più bravi avranno già risposto. Ti presento un’amica della mia ragazza, secondo me fareste una bella coppia. Scatta la domanda di rito: “com’è?” e si ti rispondono simpatica ho imparato che è già abbastanza. A volte, dopo che mi presentano questo essere, che per loro è stata creata da forze sovrannaturali per rendermi felice, penso che non mi conoscano o che gli ho fatto qualche sgarro ed ora vogliono farmela pagare o che i miei amici mi vedono alla canna del gas quindi pronto a caricare anche un frigo a tre ante o che sono di bocca troppa buona.
Ho la fortuna di avere molti amici fidanzati o sposati, e per alcuni di loro la colpa è mia, visto che sono stato io a presentarli alle rispettive consorti. In poche parole hanno pescato nel mio laghetto il salmone più grande del Canada direbbe Sampei. Sono felice per loro, anche se un po’ d’invidia, lo ammetto, mi pungola quando la tristezza mi viene a far compagnia.
Ma non è di questo che voglio scrivere.
Questo viaggio nell’introspezione personale ha avuto inizio con l’ennesima telefonata di Regina Asciugona. Il solito invito a cena che nasconde: la richiesta di un aiuto in qualche attività manuale; o la mia mutazione in un orecchio per ascoltare le sue lamentele; o fargli da “dama di compagnia” o quando va bene da “accompagnatore”.
Ho iniziato a pensare come cambierebbe la mia vita se avessi una fidanzata ( titolo molto impegnativo, almeno all’inizio), ragazza fissa (potrebbe pensare che ce ne siano altre a giro), la mia donna (ma non vorrei che la facessi sentire vecchia o le trasmettesse una qualche vecchia idea di possesso), amica particolare (a forte rischio di fraintendimento, potrebbe sempre simulare un orgasmo davanti ad una pizza e scappare con il cameriere), compagna (poco political correct)… ecco il primo ostacolo sarebbe il titolo da darle. E se chi ben inizia è a metà dell’opera, io sono ancora fuori dal teatro.
Ogni tanto provo a fare l’elenco delle mie amiche papabili, e se non è scattata la scintilla un motivo c’è, e non sempre è facile da spiegare con la ragione. Ed ecco la frase da Baci Perugina che non può mancare: IL CUORE HA RAGIONI CHE LA RAGIONE NON PUO' COMPRENDERE.
Questo sarà anche vero nella maggior parte dei casi delle ragazze che ho conosciuto, ma non sempre è così, almeno per quelle che mi sono state presentate come le probabili future regine del mio cuore secondo me una spiegazione logica al perché non ci sia stata la famosa scintilla la si può trovare.
Innanzi tutto più della metà delle famose amiche che mi sono state presentate, come dicevo, è caratterialmente incompatibile con il sottoscritto. Io amo leggere, ed alcune al massimo hanno letto le istruzioni del colorante per i capelli. Non sono un amante delle discoteche e mi presentano cubiste, carine non c’è nulla da dire ma la prima cosa che ti chiedono è quanto guadagni. Altre che risultano simpatiche come può esserlo un calcio fra i denti.
Sono uscito con una ragazza che parlava solo di calcio, beveva come un marinaio di ritorno da una traversata oceanica, ed il linguaggio era simile a quello di uno scaricatore di porto, giocava a carte come un vecchio da circolo del dopo lavoro ferroviario. Alla fine della serata mi sembrava di essere uscito con un uomo.
Senza parlare di quelle con cui non puoi intavolare nessun discorso. Il loro unico neurone è troppo impegnato a cercare un Venerdì che gli faccia compagnia nell’isola abbandonata che hanno tra le orecchie, ma ahimé alla bella mancano anche altri giorni della settimana.
Mi è capitato di uscire con una ragazza che era appena uscita da una storia di tre anni con un tipo, mi ha detto proprio così. Tanto che mi sono voltato a vedere se c’erano Elio e le storie tese dietro di me o se ero finito su candid camera, e che quindi doveva ritrovare un po’ della sua libertà e dei suoi spazzi. Va bene. Peccato, o per fortuna, che lo spazio che cercava era nel letto di un suo collega.
Se nel mucchio esce una ragazza simpatica questa nel giro di poco o litiga con l’amica che me l’ha presentata o si fidanza con l’istruttore della palestra o si trasferisce per lavoro a d almeno trecento chilometri di distanza, sempre che non si sposi prima con un mio amico che passava di lì.
Un consiglio: non organizzate uscite con molti amici per non farla sentire in imbarazzo, va sempre a finire che la vostra principessa se ne va con il principe azzurro di un’altra favola e voi tornate ad essere un ranocchio.
Alla fine di questo sproloquio l’unica cosa che mi resta da dire è:
Dove sei? Io sono qui che aspetto.

14 ottobre 2006

L’ARBITRO È DI MADRID – VENNI, VIDI E BEVVI

Una delle domande che si fanno più di frequente ai ragazzini è:” Cosa vuoi fare da grande?”. Una delle risposte più gettonate è “Il calciatore”. Beh io questo sogno l’ho realizzato, anche se solo per un fine settimana.
Grazie ad una di quelle iniziative dell’ufficio marketing, per abbassare l’imponibile ed aumentare lo spirito di appartenenza alla società, mi trovo su di un aereo con destinazione Madrid. La cosa più strana è che sto andando a Madrid a giocare a calcio. A volte i sogni si realizzano.
Atterrato in perfetto orario io ed il resto della squadra veniamo accolti all’uscita da un omino con il cartello della nostra azienda. Questo ci scorta sino al bus che ci porterà all’albergo. Proprio come per i veri calciatori.
Lungo la strada si vedono una marea di quartieri nuovissimi, da sembrare quasi finti. Potrebbero benissimo essere la scenografia di un THE TROUMAN SHOW iberico. Albergo 5 STELLE. Con tanto di usciere che ci accoglie all’ingresso. La hall è davvero grande. Veniamo registrati e poi saliamo in camera. Evito di dilungarmi sulla descrizione degli arredi e di tutto il resto. Basta ricordare che l’albergo ha 5 stelle mica per ridere. La sera c’è la presentazione dell’evento e cena con i partecipanti. Beh cena. Il ritrovo è alle 21:30. per fortuna ho mangiato in aereo altrimenti il minibar mi sarebbe costato uno stipendio. Non so se sarà una serata in tiro o casual. Questo dubbio attanaglia anche gli altri. Meglio scendere tirati e poi vedere, in fin dei conti ci sono anche i vertici del gruppo. Al banco riservato all’evento noto che gli unici in tiro siamo noi. C’è gente in pantaloncini e canotta. Addirittura uno in ciabatte. Rapido sguardo tra di noi e decidiamo di tornare in stanza ed abbigliarci in una maniera meno formale. Un’intera sala è stata riservata per noi. I tavoli sono apparecchiati in maniera impeccabile. Al centro intuisco esserci il tavolo delle “autorità”. Anche loro sono abbigliati con jeans e polo. Inizia a girare il vino. I brindisi ed i canti si susseguono alternati a portate di tapas. Forse stiamo esagerando. Domani dovremmo giocare. Ma l’atmosfera cameratesca e l’aria di movida ci hanno contagiato così che, dopo aver scattato le foto di tiro con i sommi capi, partiamo alla ricerca di vita notturna.
Troviamo un trittico di locali uno a fianco all’altro con la gente che tranquillamente entra ed esce. Ci infiliamo anche noi, in disco prima della partita proprio come i campioni più blasonati.
La stanchezza del viaggio si fa sentire ed io ed una parte della squadra decidiamo di tornare in albergo. Quando mi addormento il giorno della partita è già iniziato da un pezzo. Per fortuna giochiamo alle 12:30.
Alle 10 appuntamento per la colazione. Ma sarà la terra straniera, la lingua, i tavoli imbanditi con mille leccornie tanto che più di una colazione noi facciamo un vero e proprio banchetto. Alle 11 ci aspetta il bus per portarci al campo. mi sento un collega di Vieri a tutti gli effetti. Mi manca solo una velina da spupazzarmi ed il conto in banca a multi cifra.
Arriviamo al centro sportivo. Cavoli è quello dove si allena la nazionale spagnola. Hanno fatto le cose in grande. Ci vengono date le divise ed entriamo negli spogliatoi. Ce n’è una marea, dimensioni esagerate. Le docce però sono poche.
Andiamo il campo, uno dei tanti. Ci muoviamo lenti tra stanchezza e digestione lenta. Magari un breve riscaldamento può servire. Forse un miracolo della dottoressa Tirone sarebbe meglio. Breve discussione per chi deve entrare in campo. Sono titolare. Fischio dell’arbitro ed inizia la partita. 60 secondi e cerco di recuperare una palla lanciata in una zona senza giocatori. Arrivo sulla palla ed insieme al pallone trovo un mastino che si avventa sul mio ginocchio. Sono a terra. L’arbitro grida che ha preso la palla. Io rantolo a terra e non so cosa succede in campo. Ho paura di essermi fatto male di nuovo al ginocchio. Per sicurezza vado alla postazione a farmi controllare. Non hanno la bomboletta magica che risolve tutto, in compenso il ghiaccio aiuta. In un simil inglese riesco a parlare con la dottoressa. Mi dice che è solo una botta. Tenere il ghiaccio e se si gonfia di tornare da lei. Passo tutto il primo tempo in infermeria con il ghiaccio sul ginocchio, intanto l’infermeria si riempie. Tutti con lividi ed ematomi più o meno seri. Ritorno al campo e siamo sotto di due gol. L’attaccante ha la schiena bloccata. Uno dei centrocampista ha la caviglia escoriata ed uno dei terzini e malconcio. In breve vengo buttato dentro all’inizio del secondo tempo e capisco che la partita è maschia, ma maschia come un film vietato ai minori. Gli avversari entrano duro e per l’arbitro non c’è mai fallo. Io inizio a spazientirmi. Quando il loro portiere tocca la palla in angolo e l’arbitro comanda la rimessa dal fondo capisco che non ce n’è siamo la piccola di turno. Ennesima entrata, questa volta sulla caviglia. L’arbitro comanda di proseguire. Io resto a terra. Chiedo il cambio, ma la panchina è in gruppo in infermeria. Stringo i denti e vado avanti..
Loro giocano duro. E l’arbitro glielo consente. In un contrasto rischiamo di perdere anche il portiere. Alla fine perdiamo. Non riusciamo a segnare neanche il gol della bandiera. Comunque noi eravamo venuti per divertirci e alla fine della partita tutto è finito. Facciamo anche una foto con gli avversari. Vero segno di sportività.
Ora che abbiamo perso possiamo andare in giro per la città. Dopo la doccia e gli ultimi controlli in infermeria andiamo ad affogare i dispiaceri al buffet. L’alcool ritorna a scorrere. Mangiamo nuovamente come maiali e ci piaggiamo in attesa del bus di ritorno. Alle 16 partiamo. Breve riposo e partiamo per la visita della città. In due ore cerchiamo di vedere il più possibile. Sembriamo uno di quei gruppi organizzati che in tre giorni visitano un intera nazione. Alle 21 dobbiamo essere in albergo per la serata organizzata dalla società. Il bus ci porta in un locale molto chic, in cui il nostro abbigliamento fa storcere il naso ai camerieri. L’alcool continua a scorrere. Alla fine della cena viene annunciata un ora di open bar. Molti tentano un richiamo di “spirito” per riprendersi. Aprono le porte agli astanti ed entrano un nugolo di donne. Sarebbe il paradiso se le signore avessero un quarto dell’età che mostrano. L’unica è berci sopra. Arrivo ad un livello alcolemico tale che sono lì lì da provarci con una ava di Penelope Cruz. Per fortuna vengo portato fuori dai colleghi alla ricerca della vera movida.
Guidati dall’indigena del gruppo veniamo portati nella zona dei locali. Entriamo in uno di essi pieno all’inverosimile. Molti sono stranieri. Qualcuno di noi becca anche, peccato che è il prototipo del fidanzato perfetto e quindi rimanda al mittente la gnocca ubriaca che voleva fare uno scambio di lingua e forse anche di altro.
Passiamo in un altro locale. La notte qui inizia con almeno due ore di ritardo rispetto alla nostra e normalmente si cambiano almeno due locali. Scopriamo così che chi festeggia gli adii al celibato deve mettere in testa qualcosa, che siano girasoli o cerchietti da extraterrestre. Ancora alcol e musica e fumo. Mentre usciamo c’è gente che fa la coda per entrare. È quasi l’alba. Rientriamo in albergo dopo aver cercato di prendere un taxi per più di mezz’ora. Per fortuna che ci avevano detto che era facile prendere un taxi. Di taxi ce ne sono tanti, ma anche di gente. Appuntamento per la colazione alle 11. Dormo poco. Devo preparare la valigia e lavarmi. L’odore di fumo mi si è attaccato addosso.
Ennesima colazione ricca. Recuperiamo le valige ed i vari pezzi della squadra. Siamo sul bus, lo stato in cui ci presentiamo racconta molto della notte passata.
Vediamo la finale. Cile - Madrid. Lo stesso arbitro che ha arbitrato noi. Nuovo arbitraggio scandaloso. I cileni sugli spalti cantano L’ARBITRO E' DI MADRID. Io sono d’accordo e mi aggrego al coro. Vince ovviamente Madrid. I cileni non stringono neanche la mano agli avversari. Un po’ li capisco, anche se sono dell’idea che quando l’arbitro fischia finisce tutto non solo la partita ma anche i battibecchi.
Buffet di premiazione dove l’alcol non manca. Beviamo e mangiamo tanto da sembrare gli attori dell’ABBUFFATA. L’unica cosa che c’interessa delle premiazioni è il brindisi.
Mezz’ora di riposo prima di prendere il bus per l’aeroporto. Arriviamo con due ore di anticipo che ammazziamo in giro per i negozi dell’aeroporto. Si parte.
Lascio la terra iberica ed anche un pezzo del sogno di fare il calciatore. Sono comunque felice.
I miei sogni ora sono altri e sto cercando di realizzarli.

VENNI, VIDI E VINSI.

L’azienda per cui lavoro ha organizzato, per il suo decennale, un torneo di calcio a 7 ed uno di basket tra le rappresentative delle nazioni in cui è presente. Una squadra per nazione, tranne ovviamente per la Spagna, terra di appartenenza della società, che visti i numeri ha presentato più squadre. In Italia la società ha due filiali, e per ognuna si è iscritta una squadra. Bisognava, quindi, decidere quale squadra sarebbe andata come rappresentante nazionale. Uno scontro diretto avrebbe designato la rappresentativa nazionale che sarebbe partita per Madrid, sede dell’evento. Siccome la partita di basket si sarebbe tenuta a Milano, quella di calcio si è disputata a Roma.
Tutto in un giorno. Questo era il motto dell’ufficio marketing che gestiva l’evento. Partenza alle 8 del mattino dalla Stazione Centrale. Arrivo alle 12:30 a Roma, partita alle 13:30 e ripartenza alle 14:30. Ritmi ferratissimi.

Così mi trovo alle 8 di un sabato mattino piovoso a prendere il treno per la capitale in compagnia del resto della squadra. Tutte persone che vedevo quel giorno per la prima volta. La squadra è nata sull’intranet aziendale. Questo ha fatto sì che le nostre quotazioni di qualificazione siano bassissime. Comunque sul treno, dopo le presentazioni di rito e le quattro chiacchiere per far gruppo decidiamo la formazione e lo schema, portiere compreso. Ora è rimasto solo da capire come arrivare dalla stazione al campo. fortunatamente il capitano, nonché Manager Senior, si propone di venirci a prendere alla fermata della metrò più vicina al campo. Arriviamo a Roma. Metropolitana. Lì troviamo ad aspettarci il manager con l’auto aziendale, quindi grande e full optional, ed aspettiamo la seconda auto, sempre di un manager e sempre grande e full optional.
Partiamo e subito capisco che il traffico caotico non è una caratteristica solo di Milano. Solo che qui la guida è più creativa. Per aggirare la coda il nostro “autista” decide di svoltare a destra e di percorre la via contromano. Paura, non ho dietro neanche i documenti. Arriviamo al campo leggermente in ritardo ma vivi.. Cambio d’indumenti e subito in campo. gli avversari sono più preparati di noi. Sono mesi che si stanno allenando, ma passiamo noi in vantaggio. 1 a 0. Incredibile facciamo anche il 2 a 0. Loro rimontano. 2 a 2. Di nuovo in vantaggio 3 a 2. Gol spettacolare loro. 3 a 3. Subito 4 a 3 per noi su papera del loro portiere. Finiamo il primo tempo in vantaggio. Super incredibile. Loro iniziano a innervosirsi.
Secondo tempo. Teniamo il risultato. Loro sono sempre più nervosi e noi ne approfittiamo. Facciamo il 5 a 3. a dieci minuti dalla fine. Loro perdono la testa. Mancano solo 5 minuti e noi insacchiamo altri 2 gol. La partita sembra finita. La nostra ala sinistra scatta nel tentativo di recuperare un pallone e si fa male. Rientro in campo. rinvio del loro portiere a centro campo. Recupero il pallone e scatto in contropiede. L’unico difensore mi viene in contro. Passo al centro. La punta affronta il portiere, intanto io seguo l’azione. Mi ripassa la palla ed io a 15 cm. dalla porta incustodita insacco la palla a fil di palo. Gol. E sono 8. Un avversario amareggiato si rivolge al suo capitano ” Se segna anche lui è il caso di finirla qui.” Infatti finiamo la partita. All’euforia della vittoria si mischia la paura di perdere il treno del ritorno. Non abbiamo ancora assimilato l’idea che partiremo per la Spagna, la mente è occupata dal pensiero fisso di raggiungere la stazione in tempo. Fortunatamente, alcuni colleghi di Roma ci danno un passaggio con le loro auto. Niente auto grandi e full optional ma utilitarie modello base.

Ci lasciano alla fermata della metrò. Qui una signora delle dimensioni di un armadio a tre ante e dai colori sgargianti blocca la nostra rincorsa al treno in banchina. Solo un gruppo di noi riesce a salire. Se la signora avesse giocato come centrale difensivo con il cavolo che ci facevano tre gol. Ci informiamo e per fortuna i treni si susseguono a breve distanza. Quindi abbiamo elevate possibilità di prendere tutti il treno di ritorno. E così è. Saliti siamo così stanchi che una parte di noi si addormenta concedendosi così il meritato riposo.
L’idea di partire per la Spagna si fa ora più presente, essendosi liberato il posto del timore di perdere il treno. Iniziamo a cantare: A MADRID, A MADRID. CE NE ANDIAMO CE NE ANDIAMO A MADRID. Sembriamo una scolaresca in gita. La gente ci guarda un po’ perplessa. Sul treno incontro diverse persone. Di fronte a me c’è un balestrato che gioca con il suo pc.La signora accanto a lui lavora all’uncinetto, mentre quella al mio fianco appena partiti ha iniziato a guardare la rivista di pettegolezzi ed altrettanto immediatamente è caduta in catalessi. Una biondina passa. Carina. Speriamo si fermi. Si ferma.Si siede dietro di me. Che sfiga. Lascia le valigie e se ne va. Doppia sfiga. Non poteva capitarmi lei al posto dell’anziana catartica. Bologna. La vecchia addormentata sul treno si desta, per fortuna non è stato necessario nessun intervento fiabesco. Deve scendere. Si alza di scatto e nel prendere la valigia le cade dalla borsa qualcosa. La raccolgo e gliela porgo. Solo ora mi accorgo che è un negligè. Lei lo prende, mi ringrazia e scappa. Io resto un attimo allibito e cerco di non pensare a lei con indosso quel indumento; però capisco che anche lei si è “goduta il suo meritato riposo”.

La biondina ritorna. Ne approfitto ed attacco bottone. Parliamo del più e del meno. Mi racconta delle sue peripezie per prendere il treno. Del suo percorso di studi universitari e del suo nuovo stato di single. Peccato il sorriso. Lei è carina ma la mancanza di un canino le lascia una galleria ed io non riesco a non fissarla. E come guardare il tutto e vedere solo un particolare, perdendo così l’insieme. È quasi ipnotico. Arriviamo a Milano. Se non ci fosse un suo amico ad aspettarla ed i miei colleghi a guardarmi … ma con i ma e con i se non si fa la storia ed infatti io mi sono fatto solo l’ennesimo “film”. Solo che questa volta al posto di THE END c’è scritto MADRID.

23 settembre 2006

Contro le Donne

Oggi c’è un’arietta fredda….questo mi frulla per la testa quando uscendo di casa vengo avvolto dall’area del mattina. È proprio vero l’estate ci sta lasciando e “non esistono più le mezze stagioni”.
Comunque mi reco come ogni buon giorno feriale a prendere l’autobus che mi conduce in quella città caotica che è Milano. La prima cosa che noto è che io indosso un giubbotto mentre le ragazzine che vanno a scuola sono tutte con magliettine smanicate e pance al vento. Se lo facessi io tempo un paio di ore e sarei colto da un attacco di dissenteria fulminante. Loro nulla, chiacchierano normalmente, mentre io infastidito dal vento che s’infila nel colletto mi sento più vecchio.
Sarà meglio guardare altrove.

Non ci posso credere, ma anche la signora, la cui età a prima vista sembra essere molto vicina a quella di mia madre, va in giro con l’ombelico di fuori come una novella Raffaella Carrà. Una cosa è sicura il Tuca Tuca lo farà con un uomo molto più coraggioso di me. Aspetta aspetta, ha i sandali. Ma se sta per piovere. Guardo in giro e quasi tutta l’altra metà del cielo ha scarpe aperte. Se a farlo fosse la metà del cielo a cui appartengo sembreremmo una comitiva di frati alcolizzato che cerca di commuovere i fedeli per la questua. Lasciamo perdere.
Sta arrivando l’agognato bus. Una signora mi fa un taglia fuori degno dei tempi d’ori di Shaq O’Neal, un’altra scatta neanche fosse Carl Lewis inseguito da un gruppo di bianchi incappucciati del KKK. Da dietro vengo caricato da una ragazza, dall’aspetto si esile, ma da come spinge potrebbe fare il pilone di mischia in una squadra di rugby.
Riesco a salire indenne. Partiamo

Durante il viaggio noto qualche posto che si libera, ma tempo un battito di ciglia ed una emula di Maradona con un dribbling funambolico posa le sue corpulenti chiappe sul sedile. Se l’avesse vista la Morace una convocazione nella nazionale femminile di Calcio era assicurata.
Arriviamo al capolinea della metropolitana e come nuovi barbari davanti ad un villaggio da saccheggiare gli occupanti del torpedone partono all’assalto: prima dei posti migliori in banchina e poi sulle carrozze. Credo che chiunque abbia preso un mezzo pubblico nell’ora di punta sappia di cosa sto parlando.
Siamo cosi appiccicati che rinuncio alle mie letture e cerco motivi di distrazione. Ragazze con piercing un po’ ovunque, tatuaggi di varie dimensioni sbucano sulla rosea pelle rimasta scoperta. E pensare che io non riesco a sopportare la vista degli aghi delle punture.
Frenata, spintonata. Ripartenza, spintonata. La solita routine.
Sale una ragazza con una valigia dall’aspetto pesantissimo. Dallo sforzo che fa non deve essere solo un’idea. Dovrei chiederle se vuole una mano, sono in fin dei conti un bel esemplare di quello che si dice essere il “Sesso Forte”, anche se la mastodontica valigia m’intimorisce. Penso se ce la fa lei posso farcela anch’io. Prendo il coraggio a due mani e le chiedo se ha bisogno di aiuto. Lei mi guarda con i suoi occhi azzurro cielo e mi dice, stile Gattuso che si rivolge all’avversario di turno, “ce la faccio”. Cavoli devo aver offeso l’orgoglio di questa novella Sheena. Mi ritiro. Giungo incolume alla mia fermata. Scendo. Ed ecco che parte la corsa al posto di lavoro, nel senso più letterale della frase. Donne che corrono alle scale mobili e lì si arrampicano come tanti stambecchi su di un sentiero di montagna verso l’uscita. Un paio di gomitate ai tornelli per prendere posizione davanti ai tornelli. Fuori. Sono fuori. Altra ventata di aria fredda. Altro passaggio di giovani amazzoni. Attraverso la strada sulle strisce ed una madre in ritardo nell’accompagnare il figlio a scuola, su un mezzo che per dimensioni si avvicina più ad un carro-armato che ad un auto, tenta di stirare le pieghe del mio vestito con me dentro. Salvo. Sono salvo.

Ufficio. Scrivania. Computer. Telefono. Ed ecco iniziare una nuova lotta con le mie utenti stressate che a turno hanno le loro cose, così che non passi giorno senza sentire le loro lamentele o le loro richieste incomprensibili. Le colleghe ciarlano di scarpe e vacanze al sole. Di vestiti e diete. Si fanno finti complimenti e scambiano pettegolezzi come i bambini della mia generazione si scambiavano le figurine. Lo so, lo so, lo so, ma dai. Provo ad inserirmi e vengo guardato come un bambino che fa i capricci. Desisto.
Dopo tutto questo mi si chiede perché sono contro le donne. Io gli sono praticamente attaccato.

Una settimana in Nera

Mentre il lavoro cerca di rubarmi tutte le ore della giornata, la vita scorre verso il placido mare di una meritata notte di riposo. Di solito se si trovano intoppi lungo il cammino, si dice che ad essere importante è il viaggio e non la meta… se poi il viaggio risulta degno di nota solo per gl’imprevisti.
I miei viaggi della settimana si può dire si siano svolti sull’onda di un mare grigio, come quella cronaca che per i tristi lupi della notizia non si è trasformata in nera, inquinando il loro umore.

Iniziamo da Lunedì, come tutte le settimane. Si comincia con un attività a sorpresa dell’ultimo minuto e quindi esco in ritardo, può succedere. Il viaggio di ritorno è costellato di personaggi da strada. Ubriachi che vogliono scoprire se fa più male andare in giro di sera a pancia scoperta o attraversare la strada a caso mentre giunge un autobus pieno di pendolari assonnati e stanchi. Proprio questi ultimi non riescono a raggiungere le terre dominate da Morfeo perché due “peripatetiche” decidono di discutere, animatamente, “sedute” in fondo al bus che le porte a prendere servizio o meglio a prendere il servizio.
Come inizio non è male.

Martedì, secondo giorno ma non per questo secondo nella scala della nera, anzi. Questa volta è un problema nel viaggio delle informazioni nella rete del cliente che m’imbriglia e mi costringe a fare ancora più tardi. Ultimo tra gli ultimi a lasciare l’ufficio. In attesa dell’agognato tram, primo lui tra i mezzi che saranno più di uno per riportarmi a casa, guardo le macchine sfrecciare sia nel viale di fronte a me che nel contro viale alle mie spalle. Ma ecco ruote che fischiano, freni che stridono ed una macchina svolta dal viale nella strada trasversale e si ferma a bloccare il flusso di veicoli nel contro viale. Mi volto, non tanto stupito, immaginando la solita lite tra automobilisti. Dall’auto che ha creato il posto di blocco illegale scendono due individui armati. Non mi chiedo se le armi siano lecitamente detenute, so solo che i due appena si sono accorti che alla fermata del tram c’è qualcuno, quando si dice mal comune… , nascondono le sputafuoco e appoggiati all’auto bloccata parlano con il conducente. Non chiedetemi cosa si sono detti, appena o visto uno dei due guardare nella mia direzione io ho indossato l’area più indifferente del mondo e mi sono allontanato, ho provato anche a fischiettare ma la strizza non mi ha reso l’attività semplice, quindi ho smesso. Indeciso se voltarmi o no, ho optato per il no. Qui non si parla di trasformarsi in una statua di sale ma di finire in un gioco più grande di se, comunque anche i due novelli Starski and Hutch notano che la coda nel contro viale si sta allungando. Tutti sanno, per fortuna, che gli automobilisti hanno la stessa pazienza di un barbaro in astinenza da rissa. Uno dei due sale sulla macchina bloccata mentre l’altro sale sulla propria e piano piano se ne vanno.

Mercoledì, giorno di partita, quindi tutti vanno a casa presto tranne l’ultimo arrivato, cioè io, che deve rimanere a finire il lavoro che una maledetta riunione non gli ha permesso di finire in orario. Comunque memore dell’avventura del giorno precedente cambio strada. Sembra andare tutto bene, sono già tutti a casa in attesa del fischio iniziale della partita. Manco il tempo di pensarlo e sale un sudamericano che dice di aver perso il portafoglio sull’autobus un’ora prima e vuole sapere se l’autista l’ha trovato. Persi i primi cinque minuti a spiegargli che non era quello l’autobus passato un ora prima, il conducente ha impiegato altri dieci minuti per informare l’extracomunitario che lui non ne sapeva niente del portafogli smarrito, ma che doveva chiedere al capolinea. Il ragazzo imperterrito a spiegare che di soldi non ce n’erano, ma i documenti sì e forse lui ne sapeva qualcosa, e l’autista spazientito ad insinuargli il dubbio di un probabile furto. Arrivati al capolinea accompagno lo sfortunato al gabbiotto degli autisti raccomandandomi di fare al più pesto la denuncia dello smarrimento/furto dei documenti.
Arrivato a casa stravolto non riesco a vedere neanche l’attesa rivincita, per fortuna visto che non si è rivinto.

Giovedì, non vorrei ripetermi ma un lavoro di 5 minuti si trasforma in un avventura. Mi chiamano a raffica dieci minuti prima della fine del mio orario di lavoro per appiopparmi altro lavoro da fare urgentemente. Per fortuna che una collega mossa da pietà e dalla mia sfacciataggine m’invita ad un aperitivo con le sue coinquiline. Ed io già sogno, peccato che mentre io sogno un’automobilista esotica decide di verificare il principio d’impenetrabilità dei corpi, contro il tram che ci precede. Bloccati. Per giungere al nostro appuntamento l’autista ci consiglia una bella passeggiata. E vai. Arriviamo in ritardo e stanchi. Il mio fascino è rimasto ad offendere gli antenati dell’indisciplinata automobilista, quindi non si quaglia nulla.

Finalmente arriva il Venerdì. Si festeggia il cambio di sede ed il vino sembra far passare più velocemente la giornata. Ma ecco che arriva la riunione a sorpresa, il lavoro fatto la mattina da disfare perché si sono sbagliati ad inviare i dati, la strigliata per errori fatti dalla persona che ti sta strigliando. Per fortuna che oggi anche se faccio tardi non c’è problema visto che ho appuntamento fuori dall’ufficio alle 19:00. Sono quasi pronto, gli utenti ormai sono andati. Faccio un giro di controllo e noto che le mie colleghe hanno lasciato vari pezzi che mi toccherà portarmi in giro, va bene un’altra scocciatura ma la posso sopportare. Inizio a prepararmi ed inizia a squillare il cellulare. È una delle colleghe. Si scusa e mi rende noto che ha dimenticato l’alimentatore del PC. Grazie lo so. Mi chiede la cortesia di portarlo a casa così da darglielo Lunedì. So io cosa le darei, ma sono troppo buono. Il socio di baldorie è in ritardo. Faccio in tempo a guardare la posta. Finito il compare di sbevazzate mi avverte che è prossimo alla meta. Spengo il pc ed ecco la telefonata della Regina Asciugona. Questa volta NO. Non mi farò fregare. Resisto ben 10 minuto, nei quali: preparo la borsa, ripongo il pc, faccio l’ennesimo controllo e stacco inavvertitamente il filo della cornetta e lei nulla, imperterrita come uno schiaccia sassi. La saluto velocemente ed esco. Ormai non dovrebbe esserci nessuno in giro, ed infatti l’ingresso della tangenziale è bloccato. Si cambia strada, deviazione per lavori in corso. Passaggio a livello chiuso.
Non me ne frega nulla. Ormai la settimana lavorativa è finita. Ed i colori dell’Africa dal piatto di cuscus che sto gustando entrano e colorano il grigio di questa settimana.

14 agosto 2006

Orgoglio e Colesterolo

Ci sono cose che in modica quantità risultano buone, la cosa strana è che possono essere buone anche in quantità superiore. Ad esempio il colesterolo. Quello buono ha limiti inferiori mentre quello cattivo ha limiti superiori. Credo che la stessa cosa si possa dire a proposito dell’orgoglio.

L’orgoglio buono è l’insieme di emozioni che si provano bevendo un buon vino italiano all’ombra della Tour Eiffel, o mangiando una pizza a Città del Cairo o due spaghetti al sugo con una grattatina di parmigiano a Tokio, o ancora vedendo una 600 scorazzare per le vie di Bombay. Il sintomo principale dell’innalzamento di questa sostanza è quella piacevole sensazione che si prova quando veniamo associati a Moda e Design, ai grandi scrittori o sportivi, a bravi attori e attrici, ai grandi film, a tutto ciò che di buono la nostra nazione ed i suoi cittadini fanno tutti i giorni
L’orgoglio buono è anche quello che non ti fa piegare la testa davanti ad un ingiustizia, che ti fa gridare se offendono i tuoi principi o calpestano i tuoi diritti. È quella forza interiore che ti fa superare gli ostacoli che incontri sulla strada, che non ti fa rinunciare davanti alle difficoltà.


È trascorso ormai più di un mese dalla notte che ha laureato la Nazionale di calcio Campione del Mondo per la quarta volta: e l’orgoglio di essere cittadini di questa Nazione di Poeti, Santi, Navigatori e per i prossimi quattro anni anche Campioni del Mondo, è ancora alto.
Quando si fanno abbuffate di questo genere l’orgoglio sale come sale il colesterolo dopo una mangiata fantozziana, rutto libero compreso.
Giunto il periodo di vacanza o ferie, aumentano le possibilità d’incontrare cittadini di terre lontane o vicine. Mi è capitato d’incrociare, nel mio scorazzare per le Alpi, tedeschi e francesi su sentieri più o meno scoscesi, ed ogni volta che il saluto rilevava la loro nazionalità, o almeno mi faceva sospettare il loro non essere compatrioti, dovevo trattenermi dal non sbeffeggiarli sottolineando la vittoria di un trofeo mondiale.
Quanti italiani viaggeranno per le vie del mondo con lo sguardo un po’ più fiero. Ordineranno spaghetti o mangeranno pizza e se si sentiranno dire: “ italiani mafia e mandolino”, risponderanno “anche CAMPIONI DEL MONDO”. Ormai il nostro sangue è pieno di questa sostanza, che non sempre è nociva.

Il problema, come per il colesterolo è trovare il giusto equilibrio, che non deve essere statico, ma fluido per potersi adattare alle diverse situazioni e necessità. Perché se si esagera con l’orgoglio buono: s’inizia a gridare di essere migliori perché gli altri non sono come noi, non hanno quello che abbiano noi; perdendo così la possibilità di confrontarsi con altre realtà, magari di non condividerle ma non per questo rifiutarle a priori.

Penso che l’orgoglio cattivo sia, invece, quello che fa sì che persone gentilissime, appena salgono in auto, si trasformino in hooligan violenti pronti a litigare per la minima cosa, ad inveire contro tutti e tutto. Non possono essere superati, non accettano che gli altri si fermino per far attraversare la strada alla mammina con bambino o alla nonna con accompagnatrice esotica al seguito. Non possono perdere tempo.
Quello che ti fa offendere gli altri perché non la pensano come te la domenica pomeriggio davanti a uomini in pantaloncini che calciano un pallone, o hanno un’altra idea di come andrebbe guidato il paese, in breve che “pensano sbagliato”; oppure che non sono uguali a te e per ciò li pensi inferiori e li tratti come cose. Vasco cantava “ne ha uccisi più l’orgoglio che il petrolio”, facendo così di una gran verità un pezzo orecchiabile.
L’orgoglio cattivo è una malattia: ti restringe il campo visivo; ti fa perdere l’obbiettività in cambio di mille giustificazioni; non ti permette di ascoltare i consigli di chi ti è vicino, che siano buoni o no; scusa le azioni più riprovevoli lavandoti anche la coscienza dai sensi di colpa; ti nasconde cosa è veramente giusto facendoti credere di non essere mai in errore.

Credo di aver peccato di orgoglio. Mi scuso per la filippica.
Visto che i consigli giusti vengono di solito dati dalle persone che non possono dare il cattivo esempio: mi asterrò.

04 agosto 2006

Regina Asciugona

Nella continua ricerca dell’altra metà del mio cielo, passando per tempeste e giornate bollenti, mi è capitato d’incontrare una variegata lista di personaggi femminili. Tutti noi, uomini e donne, abbiamo un archivio dove sono schedate le persone incontrate lungo il cammino che ci porterà a scoprire cosa si cela sopra, o sotto, questo mondo. Dal mio estraggo l’incartamento dedicato alla mia Regina degli Asciugoni, capace di desertificare anche il più fertile degli animi. Quest’amica del periodo del bisogno, nel senso che ti cerca solo per sua necessità, l’ho conosciuta per caso, frequentata per curiosità, subita per sbaglio.
Il suo mondo non sfiora neanche lontanamente il mio, tanto da farmi pensare che per lei il sole sorge dall’altra parte della volta celeste. Sentire alcuni sui discorsi mi fa pensare a nobili di titolo, ma non sempre d’animo, che cercano di adattarsi stile Gattopardo. Zola e Flaubert si sarebbero contesi il piacere di ritrarla in un loro libro. Un fulgido esempio della vacuità dell’essere umano.
Per me un cambio di prospettiva incredibile. Con lei non si parla di vedere se il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto, ma se il bicchiere è di plastica o di fine cristallo. Ma non è di questo che voglio scrivere. Vorrei raccontare dell’ennesimo capitolo del libro “AMICIZIA TRA UOMO E DONNA – QUALE VERITÁ”.
Il mio interesse per lei, all’inizio, poteva essere di tipo fisico, ma questo è svanito un secondo dopo che l’ho sentita parlare. Un brivido mi è corso lungo la schiena, ahimé non un brivido caldo, ma una gelida scossa. Non potevo credere a certe cose. C’è ancora chi parla di servitù, della Milano da bere, di yuppies e associazioni elitarie, dove la carità si chiama beneficenza e la si fa a distanza, per non doverne sentire l’odore.
Irreale. Mi sentivo come Bruno Sacchi della “Terza C” che incontra Sharon Zampetti nell’atrio della scuola. La curiosità, e la voglia di dimostrarmi che valevo molto più di lei, mi ha fatto intraprendere questo viaggio. Lo so, non è carino dirlo, la mia amicizia era più una sfida con me stesso che un vero moto dell’animo, ma chi semina rape non può coglier fiori.
Così è iniziata la nostra strana amicizia, o meglio la nostra frequentazione. Le ho fatto da consigliere, confessore, servitore. Ascoltavo i suoi racconti di feste ed eventi. Di amori da soap opera e vacanze da fratelli Vanzina. Cercavo di spiegarle che il mondo andava ben oltre la casa in montagna, la villeggiatura al mare, le serate danzanti. Ma nulla.
Non ho fatto nessun commento neanche quando ha provato a difendere il fratello di un “noto nano ballerino” con argomentazioni del tipo: “è stato gentilissimo con noi, ci ha invitato anche a pranzo sulla sua barca. Non può essere vero quello che i giudici dicono su di lui.”
Ed intanto i suoi amori nascevano, bruciavano ardentemente e morivano alla velocità di un cambio di stagione. Principi consorti che duravano il tempo di una hit estiva, e con la stessa velocità con cui si dimentica il ritornello di quest’ultima, venivano dimenticati anche loro.
Ed ogni volta lo stesso discorso: "Tu sei una persona intelligente e m’interessa il tuo parere", anche se ho sempre pensato che a lei interessasse di più il mio timpano, " sei come un fratello", per fortuna tu non sei mia sorella, "tu mi capisci", come un traduttore automatico.
Questo per sottolineare che anche il diavolo ti “liscia” quando vuole l’anima.
Questo per sottolineare che anche il diavolo ti “liscia” quando vuole l’anima.
Le sue telefonate sono estenuanti. Più di una volta sono stato colto da crampi al braccio o mi sono dovuto sedere per la stanchezza. Non solo, le sue chiamate sono sempre dello stesso tenore. Racconti della sua vita e dei suoi problemi, richiesta di consigli, che tanto non vengono ascoltati. Pretese di conferme e rassicurazioni. E non molla. Quando ti prende non ti lascia andare tanto facilmente, neanche fosse un pitbull. Deve prima succhiarti un bel po’ di energia vitale, e va avanti fino a quando non è soddisfatta.
Quando capita che qualcuno la chiami sull’altra linea, penso sempre di averla svangata, ed invece lei utilizza il suo super potere: conversazione in multitask, e mi tiene legato a sentire anche l’altra conversazione.
È incredibile. Ho perso un po’ di peso, cambiato leggermente modo di vestire. Ed ecco che potevo essere introdotto in società. In fin dei conti anche la plastica ha il suo valore, come insegna l’arte moderna. Peccato che ora sia io quello che vuole evitare di essere presentato ai suoi amici.
Ora vi chiedo: “ CONOSCETE UN MODO PER FILTRARLA?”, un bel anti-spam, così che io mi possa concentrare nella ricerca della mia Principessa. Una Nobile d’Animo, che mi aiuti a regnare sulle terre emerse e sommerse del mio CUORE.


P.S. Prego le interessate di lasciare dati e recapiti. Saranno contattate il prima possibile
P.S. 2 Anche mentre cerco di pubblicare questo post la Regina cerca di legarmi con il filo telefonico.

16 luglio 2006

Cose che ti cambiano

Domenica pomeriggio. Mi risveglio dalla pennichella pomeridiana, oltre che meritata mi ha permesso di recuperare lo ore di sonno perse dietro a parole spese in compagnia. La televisione rimasta accesa trasmette il trailer del nuovo film di Superman. Un supereroe che si nasconde dietro ad un paio di occhiali.
Come fa una persona ed essere così diversa da non essere riconosciuta solo perché indossa occhiali e vestiti al posta del pigiama? Eppure è possibile. Ed ecco che la mente parte per un altro viaggio alla ricerca della comprensione dei perché della vita. Anche noi deboli esseri umani subiamo questa trasformazione. Per brevi periodi passiamo da Dr. Jekyll in Mr. Hyde e viceversa, da lupi con principi di calvizie a pecore nere con pullover a girocollo.
Ci trasformiamo quando ci mettiamo alla guida. Da gentili ed educati pedoni diventiamo novelli Nuvolari o bestemmiatori di porti, capaci di far arrossire fabbri comunisti che impugnano martelli mentre forgiano lame di falci. Questo è il potere di cambiamento del volante. Messa una mano su di esso, perché l’altra ci serve per dare: indicazioni sulla fedeltà del consorte altrui o indicazioni su luoghi di villeggiatura popolati da esseri galleggianti, ci trasformiamo in esseri al limite della spregevolezza. Ho conosciuto lavoratori infaticabili, capaci di lavorare 16 ore al giorno e più, indossare le pantofole e trasformarsi in pigri tali da far sembrare un bradipo in ferie un’ape operaia. A tutti è capitato di sedersi ad una scrivania. Se ci pensate bene il nostro comportamento cambia se ci sediamo davanti o dietro la scrivania, per i più maliziosi anche sotto. Da una parte timidi ed impacciati pronto a prendere per oro colato tutto quello che ci viene detto, mentre dall’altra cattivi e sospettosi come neanche al tempo dell’inquisizione, per quanto riguarda il sotto lascio all’immaginazione del lettore. Ma non finisce qui…guardandosi in giro si possono vedere mille cose che sono in grado di realizzare una metamorfosi. A volte il sorriso di una ragazza ti fa sentire come un lupo mannaro in adorazione della Luna lontana. Può risvegliare istinti da cacciatore anche in conigli bagnati.
La vittoria di una Coppa del Mondo ti fa sentire più legato alla terra che ti ha dato i natali o la cittadinanza. Guardandosi in giro in questi giorni si vedono mille bandiere tricolori sventolare da finestre e balconi. Bandiere che garriscono gioiosamente al caldo vento dell’estate. Tutti questi amanti della patria dov’erano fino ad ora? Nascosti nell’attesa del miracolo che liberasse il loro orgoglio latente di essere cittadini del Bel Paese. E per fortuna il miracolo è giunto.
L’utente è la dimostrazione lampante di come piccole cose possano cambiarti. Se si sono scritti libri e barzellette su questi esseri capaci di fare le domande più stupide, perché utenti, mentre nella vita normale riescono a far le cose più diverse. Eppur son capaci di farti cadere oltre agli arti superiori anche gli ammennicoli più indecenti con domande da encefalogramma concavo. Cos’è che li cambia? Che li rende essere irrazionali? L’essere utenti. Come controprova ci sono archivi di FAQ (domande più frequenti), che danno un indicazione sulla regressione ad essere primitivo dell’utente. La più ricorrente è: . Banale, eppure metà delle questioni sono di questo tenore. Guardo la mia camera, e scopro di aver anch’io la mia super salsa che mi permette di passare da Henry Cabot Henhaus III, scienziato per diletto, in Super Pollo. La porta di camera mia è la mia super salsa! Da un lato sono lo sciatto casinista che genera caos nella speranza di veder nascere una stella danzante nella propria camera, dall’altro un Consulente Junior con la mania dell’ordine, pignolo fino a diventare pedante.
Capace di creare tanta confusione che la sola idea di riordinare fa pensare ad una delle dodici fatiche di Ercole 2000. Eppure in possesso di una scrivania impeccabile al lavoro, dove anche i fogli da buttare sono impilati in ordine temporale. Gli occhi si soffermano sulla mia scrivania, quella al di qua del fantastico mondo del lavoro, o meglio sul deposito di carte ed oggetti che prima o poi finiranno tra quelli smarriti. Non assomiglia neanche lontanamente a quella che uso a lavoro. Cambiamenti, trasformazioni e metamorfosi. A volte mi chiedo chi sono o chi dovrei essere. Se questi cambiamenti sono dovuti all’adattarsi alla situazione o alla paura
dell’affrrontarla

08 luglio 2006

COSA RISPONDERE


Non riesco a credere che tutti i personaggi più strani li debba incontrare io nella mia ricerca di lavoro. Comunque rispondo ad un annuncio per un posto da commerciale. Si richiede la laurea in ingegneria elettronica o fisica; conoscenza dell’inglese ed una se pur breve esperienza nel settore commerciale. Lo so, io non ho alcuna esperienza se pur breve nell’ambito commerciale, ma se nessuno mi dà l’opportunità.

A sorpresa vengo chiamato dall’agenzia che si occupa della ricerca di questo fantomatico ingegnere. Prendo appuntamento per giovedì 26 Gennaio, in centro a Milano. Se qualcuno non se ne ricordasse quel giorno ha iniziato a nevicare. Le avversità atmosferiche non mi fermano e riesco anche ad arrivare con dieci minuti di anticipo. Faccio un po’ di anticamera prima di essere chiamato per il colloquio conoscitivo. L’incaricato mi presenta brevemente l’agenzia interinale per cui lavora e mi dice il nome dell’azienda per cui fanno stanno facendo la ricerca.Inizia il vero colloquio.
Le prime domande sono di routine: quali sono le sue esperienze lavorative; è automunito; è disposto a trasferte in Italia ed all’estero; conosce l’inglese… qui cominciano a precipitare le cose. Rispondo che me la cavo e che seguo un corso per tenere vivo il mio “inglese”. Lui mi chiede di continuare in inglese, ed io gli rispondo che a me va bene. Inizia lui. Ecco la prima difficoltà: non ridergli in faccia. Parla inglese peggio di me e mi fa una domanda di un banale incredibile: “Cosa ha fatto nelle scorse vacanze estive”. Io sciorino il mio inglese più scolastico e faccio una bellissima figura. M’interrompe e mi dice che il colloquio è finito o quasi.Mi dice che sì: io potrei quasi andare bene, se solo avessi “la se pur breve esperienza nel commerciale”, non importa che io conosca molto bene gli strumenti di misurazione ottica e le varie applicazioni di laser e sorgenti di luce. Di avere una comprovata esperienza di laboratorio, principali clienti della ditta per cui l’agenzia sta effettuando questa ricerca, ma solo che non sono in possesso di questa cavolo di esperienza se pur breve nel commerciale.

A questo punto penso che è andata, anche questa volta nulla di fatto, ma proprio mentre faccio questo pensiero il cacciatore di teste mi ferma. Mi guarda e mi chiede se conosco qualcuno con un curriculum vitae simile al mio ma che abbia “una se pur breve esperienza nel ramo commerciale”.Lo fisso un po’ allibito e lui mi spiega che sta facendo moltissima fatica a trovare dei candidati per questa posizione e spera che io gli dia dei nominativi. Io gli faccio capire con educazione che per la privacy non posso dare l’indirizzo dei miei amici, giusto per non mandarlo a quel paese subito. Spero capisca il mio gesto di gentilezza ed invece riparte a testa bassa ed insiste. Mi dà il suo indirizzo mail e mi raccomanda di fargli gentilmente questo favore, e continua fino a quando non mi rivesto e mi accompagna all’uscita. Io provo a fargli capire che psicologicamente non è semplice fare quello che mi ha chiesto ma lui niente. Mi saluta e mi raccomanda di fare questa ricerca tra i miei amici. Io gli rispondo come ai matti. Si non si preoccupi e me ne vado.

Ora io vi chiedo: voi cosa avreste risposto a questo genio? Io niente.
Ma forse avrei dovuto azzardare un: Guardi che io cerco un lavoro non un lavoratore, quello è compito suo.

06 luglio 2006

Ed il settimo giorno si riposò


Non ci credo!
Esiste la domenica mattina, anche in quest’estate Mundial. Il caldo riporta alla mente l’estate in cui la nazionale di calcio si laureò campione del mondo! campione del mondo! campione del mondo! E per un popolo di scaramantici ciò equivale ad un’apparizione di San Franco Baresi, protettore di tutte le porte. La cosa incredibile è che crediamo che andare a votare non serva a nulla, quindi andarci o restare a casa, magari a sbavare dietro le cosce di qualche troione che sgambetta in tv o seguendo discorsi di trichechi con camice giusto collo, sia del tutto equivalente. D’altro canto indossiamo le stesse mutande di quella bollente estate, magari mai lavate, pensando che ciò possa cambiare l’andamento di una partita giocata a mille e più chilometri di distanza. Possiamo cambiare gli eventi, anche di portata Mondiale, neanche fossimo novelli x-men.

La cosa più assurda è, però, che io sia al parco a correre. Il caldo oggi sembra in grado disciogliere i ghiaccioli fin dentro al frigo. Per distogliere la mente dalla fatica e dall’afa mi guardo un po’ in giro.
Ci sono gli amanti della tintarella. I condannati della partitella della domenica, quelli che non rinuncerebbero mai ad una bella litigata post partita. Quelli che corrono per mantenersi in forma e superare, a pieni voti, la prova costume. Quelli che corrono nel tentativo di superare la prova costume, con ben poche possibilità, cercando di porre rimedio a mesi di bagordi e di concessioni alimentari. C’è chi prova ad intavolare un picnic e chi si è organizzato in stile festa dell’unità. Non è che dopo la caduta del muro, la mafia russa ha contrabbandato anche griglie e salamele del dimesso partito di Gorbaciov? Padri con figli dispettosi quale penitenza per antichi piaceri. Cani che portano in giro padroni annoiati. Ciclisti che pensano di essere i protagonisti della crono tappa del Giro del Parco, gara che dovrebbe essere inserita di diritto nelle classiche del Pro-Tour. Mogli, che dopo aver stressato il marito con la scusa che non le portano mai fuori e che un po’ di movimento farebbe ad entrambi bene, stressano il marito nocendogli gravemente alla salute. Single, e non, vogliosi del frutto della passione importunano qualsiasi essere femminile, che a prima vista non li metta a rischio di una denuncia di violenza su minori.
Gruppi di stranieri che invadono i nostri territori per giocare a sport a noi incomprensibili. Sono organizzati neanche fosse il torneo nazionale del dopolavoro ferroviario. Divise, coppe, bibite e tifosi al seguito, che non hanno nulla da invidiare ad un orda di hooligans inglesi in gita a Istanbul.
Anche qui trovi l’intellettuale che fa finta di leggere, per darsi un contegno, ma che in realtà sbircia le ragazze che girano nel suo campo visivo.

Cavoli!!! Ma che coraggio ci vuole per conciarsi così. Un nugolo di anziane, con costumi succinti, sedute in maniera lasciva, ammicca a vecchi single di ritorno.
Ecco una serie di ragazze abbigliate in maniera improponibile. Ma chi darà loro l’idea che: le canottierine prendisole ed i pantaloncini alla pinocchietto siano gli indumenti più adatti da indossare quando si corre. Non sanno che fanno male alla salute di chi le incrocia? Ed ecco un altro gruppo con toppettini che mettono in risalto addomi degni di essere adorati da buddisti alluppati con i chakra in subbuglio. Mentre gli uomini con la pancetta, se non accompagnati da mogliettina, sono belli coperti di tutto punto. Non sia mai che il loro unico sport è fare sì quattro salti, ma in padella.

Ed io a stringere i denti. In fin dei conti non sono tanto diverso da questa masnada di esseri che suda, cammina, si arrabbia, mangia e che quando ha fortuna vive e non sopravvive.
La prossima domenica sarà meglio portarsi un cappellino per proteggersi dal sole