23 settembre 2006

Contro le Donne

Oggi c’è un’arietta fredda….questo mi frulla per la testa quando uscendo di casa vengo avvolto dall’area del mattina. È proprio vero l’estate ci sta lasciando e “non esistono più le mezze stagioni”.
Comunque mi reco come ogni buon giorno feriale a prendere l’autobus che mi conduce in quella città caotica che è Milano. La prima cosa che noto è che io indosso un giubbotto mentre le ragazzine che vanno a scuola sono tutte con magliettine smanicate e pance al vento. Se lo facessi io tempo un paio di ore e sarei colto da un attacco di dissenteria fulminante. Loro nulla, chiacchierano normalmente, mentre io infastidito dal vento che s’infila nel colletto mi sento più vecchio.
Sarà meglio guardare altrove.

Non ci posso credere, ma anche la signora, la cui età a prima vista sembra essere molto vicina a quella di mia madre, va in giro con l’ombelico di fuori come una novella Raffaella Carrà. Una cosa è sicura il Tuca Tuca lo farà con un uomo molto più coraggioso di me. Aspetta aspetta, ha i sandali. Ma se sta per piovere. Guardo in giro e quasi tutta l’altra metà del cielo ha scarpe aperte. Se a farlo fosse la metà del cielo a cui appartengo sembreremmo una comitiva di frati alcolizzato che cerca di commuovere i fedeli per la questua. Lasciamo perdere.
Sta arrivando l’agognato bus. Una signora mi fa un taglia fuori degno dei tempi d’ori di Shaq O’Neal, un’altra scatta neanche fosse Carl Lewis inseguito da un gruppo di bianchi incappucciati del KKK. Da dietro vengo caricato da una ragazza, dall’aspetto si esile, ma da come spinge potrebbe fare il pilone di mischia in una squadra di rugby.
Riesco a salire indenne. Partiamo

Durante il viaggio noto qualche posto che si libera, ma tempo un battito di ciglia ed una emula di Maradona con un dribbling funambolico posa le sue corpulenti chiappe sul sedile. Se l’avesse vista la Morace una convocazione nella nazionale femminile di Calcio era assicurata.
Arriviamo al capolinea della metropolitana e come nuovi barbari davanti ad un villaggio da saccheggiare gli occupanti del torpedone partono all’assalto: prima dei posti migliori in banchina e poi sulle carrozze. Credo che chiunque abbia preso un mezzo pubblico nell’ora di punta sappia di cosa sto parlando.
Siamo cosi appiccicati che rinuncio alle mie letture e cerco motivi di distrazione. Ragazze con piercing un po’ ovunque, tatuaggi di varie dimensioni sbucano sulla rosea pelle rimasta scoperta. E pensare che io non riesco a sopportare la vista degli aghi delle punture.
Frenata, spintonata. Ripartenza, spintonata. La solita routine.
Sale una ragazza con una valigia dall’aspetto pesantissimo. Dallo sforzo che fa non deve essere solo un’idea. Dovrei chiederle se vuole una mano, sono in fin dei conti un bel esemplare di quello che si dice essere il “Sesso Forte”, anche se la mastodontica valigia m’intimorisce. Penso se ce la fa lei posso farcela anch’io. Prendo il coraggio a due mani e le chiedo se ha bisogno di aiuto. Lei mi guarda con i suoi occhi azzurro cielo e mi dice, stile Gattuso che si rivolge all’avversario di turno, “ce la faccio”. Cavoli devo aver offeso l’orgoglio di questa novella Sheena. Mi ritiro. Giungo incolume alla mia fermata. Scendo. Ed ecco che parte la corsa al posto di lavoro, nel senso più letterale della frase. Donne che corrono alle scale mobili e lì si arrampicano come tanti stambecchi su di un sentiero di montagna verso l’uscita. Un paio di gomitate ai tornelli per prendere posizione davanti ai tornelli. Fuori. Sono fuori. Altra ventata di aria fredda. Altro passaggio di giovani amazzoni. Attraverso la strada sulle strisce ed una madre in ritardo nell’accompagnare il figlio a scuola, su un mezzo che per dimensioni si avvicina più ad un carro-armato che ad un auto, tenta di stirare le pieghe del mio vestito con me dentro. Salvo. Sono salvo.

Ufficio. Scrivania. Computer. Telefono. Ed ecco iniziare una nuova lotta con le mie utenti stressate che a turno hanno le loro cose, così che non passi giorno senza sentire le loro lamentele o le loro richieste incomprensibili. Le colleghe ciarlano di scarpe e vacanze al sole. Di vestiti e diete. Si fanno finti complimenti e scambiano pettegolezzi come i bambini della mia generazione si scambiavano le figurine. Lo so, lo so, lo so, ma dai. Provo ad inserirmi e vengo guardato come un bambino che fa i capricci. Desisto.
Dopo tutto questo mi si chiede perché sono contro le donne. Io gli sono praticamente attaccato.

Una settimana in Nera

Mentre il lavoro cerca di rubarmi tutte le ore della giornata, la vita scorre verso il placido mare di una meritata notte di riposo. Di solito se si trovano intoppi lungo il cammino, si dice che ad essere importante è il viaggio e non la meta… se poi il viaggio risulta degno di nota solo per gl’imprevisti.
I miei viaggi della settimana si può dire si siano svolti sull’onda di un mare grigio, come quella cronaca che per i tristi lupi della notizia non si è trasformata in nera, inquinando il loro umore.

Iniziamo da Lunedì, come tutte le settimane. Si comincia con un attività a sorpresa dell’ultimo minuto e quindi esco in ritardo, può succedere. Il viaggio di ritorno è costellato di personaggi da strada. Ubriachi che vogliono scoprire se fa più male andare in giro di sera a pancia scoperta o attraversare la strada a caso mentre giunge un autobus pieno di pendolari assonnati e stanchi. Proprio questi ultimi non riescono a raggiungere le terre dominate da Morfeo perché due “peripatetiche” decidono di discutere, animatamente, “sedute” in fondo al bus che le porte a prendere servizio o meglio a prendere il servizio.
Come inizio non è male.

Martedì, secondo giorno ma non per questo secondo nella scala della nera, anzi. Questa volta è un problema nel viaggio delle informazioni nella rete del cliente che m’imbriglia e mi costringe a fare ancora più tardi. Ultimo tra gli ultimi a lasciare l’ufficio. In attesa dell’agognato tram, primo lui tra i mezzi che saranno più di uno per riportarmi a casa, guardo le macchine sfrecciare sia nel viale di fronte a me che nel contro viale alle mie spalle. Ma ecco ruote che fischiano, freni che stridono ed una macchina svolta dal viale nella strada trasversale e si ferma a bloccare il flusso di veicoli nel contro viale. Mi volto, non tanto stupito, immaginando la solita lite tra automobilisti. Dall’auto che ha creato il posto di blocco illegale scendono due individui armati. Non mi chiedo se le armi siano lecitamente detenute, so solo che i due appena si sono accorti che alla fermata del tram c’è qualcuno, quando si dice mal comune… , nascondono le sputafuoco e appoggiati all’auto bloccata parlano con il conducente. Non chiedetemi cosa si sono detti, appena o visto uno dei due guardare nella mia direzione io ho indossato l’area più indifferente del mondo e mi sono allontanato, ho provato anche a fischiettare ma la strizza non mi ha reso l’attività semplice, quindi ho smesso. Indeciso se voltarmi o no, ho optato per il no. Qui non si parla di trasformarsi in una statua di sale ma di finire in un gioco più grande di se, comunque anche i due novelli Starski and Hutch notano che la coda nel contro viale si sta allungando. Tutti sanno, per fortuna, che gli automobilisti hanno la stessa pazienza di un barbaro in astinenza da rissa. Uno dei due sale sulla macchina bloccata mentre l’altro sale sulla propria e piano piano se ne vanno.

Mercoledì, giorno di partita, quindi tutti vanno a casa presto tranne l’ultimo arrivato, cioè io, che deve rimanere a finire il lavoro che una maledetta riunione non gli ha permesso di finire in orario. Comunque memore dell’avventura del giorno precedente cambio strada. Sembra andare tutto bene, sono già tutti a casa in attesa del fischio iniziale della partita. Manco il tempo di pensarlo e sale un sudamericano che dice di aver perso il portafoglio sull’autobus un’ora prima e vuole sapere se l’autista l’ha trovato. Persi i primi cinque minuti a spiegargli che non era quello l’autobus passato un ora prima, il conducente ha impiegato altri dieci minuti per informare l’extracomunitario che lui non ne sapeva niente del portafogli smarrito, ma che doveva chiedere al capolinea. Il ragazzo imperterrito a spiegare che di soldi non ce n’erano, ma i documenti sì e forse lui ne sapeva qualcosa, e l’autista spazientito ad insinuargli il dubbio di un probabile furto. Arrivati al capolinea accompagno lo sfortunato al gabbiotto degli autisti raccomandandomi di fare al più pesto la denuncia dello smarrimento/furto dei documenti.
Arrivato a casa stravolto non riesco a vedere neanche l’attesa rivincita, per fortuna visto che non si è rivinto.

Giovedì, non vorrei ripetermi ma un lavoro di 5 minuti si trasforma in un avventura. Mi chiamano a raffica dieci minuti prima della fine del mio orario di lavoro per appiopparmi altro lavoro da fare urgentemente. Per fortuna che una collega mossa da pietà e dalla mia sfacciataggine m’invita ad un aperitivo con le sue coinquiline. Ed io già sogno, peccato che mentre io sogno un’automobilista esotica decide di verificare il principio d’impenetrabilità dei corpi, contro il tram che ci precede. Bloccati. Per giungere al nostro appuntamento l’autista ci consiglia una bella passeggiata. E vai. Arriviamo in ritardo e stanchi. Il mio fascino è rimasto ad offendere gli antenati dell’indisciplinata automobilista, quindi non si quaglia nulla.

Finalmente arriva il Venerdì. Si festeggia il cambio di sede ed il vino sembra far passare più velocemente la giornata. Ma ecco che arriva la riunione a sorpresa, il lavoro fatto la mattina da disfare perché si sono sbagliati ad inviare i dati, la strigliata per errori fatti dalla persona che ti sta strigliando. Per fortuna che oggi anche se faccio tardi non c’è problema visto che ho appuntamento fuori dall’ufficio alle 19:00. Sono quasi pronto, gli utenti ormai sono andati. Faccio un giro di controllo e noto che le mie colleghe hanno lasciato vari pezzi che mi toccherà portarmi in giro, va bene un’altra scocciatura ma la posso sopportare. Inizio a prepararmi ed inizia a squillare il cellulare. È una delle colleghe. Si scusa e mi rende noto che ha dimenticato l’alimentatore del PC. Grazie lo so. Mi chiede la cortesia di portarlo a casa così da darglielo Lunedì. So io cosa le darei, ma sono troppo buono. Il socio di baldorie è in ritardo. Faccio in tempo a guardare la posta. Finito il compare di sbevazzate mi avverte che è prossimo alla meta. Spengo il pc ed ecco la telefonata della Regina Asciugona. Questa volta NO. Non mi farò fregare. Resisto ben 10 minuto, nei quali: preparo la borsa, ripongo il pc, faccio l’ennesimo controllo e stacco inavvertitamente il filo della cornetta e lei nulla, imperterrita come uno schiaccia sassi. La saluto velocemente ed esco. Ormai non dovrebbe esserci nessuno in giro, ed infatti l’ingresso della tangenziale è bloccato. Si cambia strada, deviazione per lavori in corso. Passaggio a livello chiuso.
Non me ne frega nulla. Ormai la settimana lavorativa è finita. Ed i colori dell’Africa dal piatto di cuscus che sto gustando entrano e colorano il grigio di questa settimana.