17 dicembre 2007

Passo 6


N’è passata di acqua sotto i ponti da quel venerdì notte, fatto di alcool e disperazione, rancore e vomito, di piani di vendette e fughe. Si potrebbe dire che è stato un giorno di fine inizio se non sembrasse la reclame di una clinica per tossicodipendenti.
Alcune persone, in questo periodo, si sono allontanate dal mio cammino, mentre altre si sono avvicinate. I vecchi amici, quelli veri, sono sempre rimasti accanto a me per fortuna.
Sono qui davanti al cancello 2 dello stadio a ripensare al tempo passato mentre aspetto proprio uno dei miei migliori amici. Dobbiamo vedere e tifare insieme la nostra squadra del cuore. L’ultima volta che ero venuto allo stadio c’era anche lei e non c’erano i calciatori in campo ne i tifosi sugli spalti ma un cantante ed una marea di fan in delirio. Lui: occhialuto, famoso cantore della capitale, oltre che tifosissimo, incantava la gente sul prato e sugli spalti gremitissimi. Forse c’è anche lui questa sera a vedere gli eredi dei miei eroi di gioventù contro la formazione della sua città.
Mi guardo in giro per cercare di scorgere il mio socio calcistico, eternamente in ritardo, tanto che penso che probabilmente ce l’ha nel DNA di arrivare almeno dieci minuti dopo l’ora dell’appuntamento, quando arriva presto.
Ma quel viso, quella persona la conosco. È il Mario!
Oltre la sorpresa, il dubbio amletico se avvicinarmi e salutarlo o no mi coglie.
Per ora non mi ha ancora visto. Non è solo. È in compagnia di un gruppettino di sei,sette, persone.
Noooo!!!
Non voglio crederci. Non è possibile! Non è giusto! Se potessi mi metterei a batter i piedi ed i pugni come fa il mio nipotino di tre anni e come facevo io alla sua età.
Mi volto di scatto come fanno tutti quelli che vengono scoperti a spiare, non voglio guardare, ma la curiosità ha il sopravvento. C’è anche lei. Sta chiacchierando con il resto del gruppetto ed ogni tanto scambia qualche sguardo con il Mario. Mi sembra che si diverta molto.
Indossa la maglia del capitano avversario.
Mi si moltiplica la confusione in testa, una specie di reazione atomica del caos senza farfalle ma con milioni di terremoti emozionali.
Vedo alcune scene della mia vita insieme a lei, quando allo stadio ci andavamo insieme!
La trasferta nella capitale, la paura dei tafferugli tra le diverse tifoserie, che per fortuna non ci sono state. Le facce di alcuni tifosi, e non, che vedevano una coppia, io con la maglietta del mio capitano e lei con quella del suo tanto da sembrare una pubblicità progresso. Era il nostro primo anniversario. Mano nella mano per non perderci nella folla. Gli sfotto prima, durante e dopo la partita. I commenti tecnici da provetti allenatori che magari non hanno mai tirato un calcio al pallone.
Ora entrambi indossiamo la stessa maglietta, ma lei stringe la mano di un altro.
In tutto questo periodo ogni tanto avevo pensato a dove e come ci saremmo potuti incontrare.
Ho immaginato la scena mille volte nei mesi successivi al nostro ultimo saluto. Io che indosso i panni dell’eroe da film romantico e che dico “francamente me ne infischio”, oppure in una scena da graffi e pugni durante una lite piena di fiele. All’inizio i finali si alternavano. In alcuni tornavamo insieme e lei mi diceva di aver capito il suo errore e che amava solo me, negli altri lei abbandonata nella povertà sentimentale e reale mentre io trovavo l’amore e la ricchezza delle favole.
Piano piano lo scorrere del tempo e l’impegno alacre nel lavoro hanno fatto si che questi pensieri trovassero sempre meno spazio. L’ultimo colpo poi lo ha assestato il mio incontro con Claudia. Non sarà l’amore vero ma, mi ha aiutato a ricostruirmi una vita anche al di fuori dell’ufficio. Ad essere sinceri, di rado qualche ricordo riaffiora ma non fa più male come prima o almeno non lo faceva sino ad adesso.
Mi nascondo nella folla cercando di non farmi vedere, come se fossi un investigatore alla ricerca delle prove di un tradimento, peccato che di prove io non ne abbia più bisogno. Controllo verso quale ingresso si muovono cercando di capire in quale settore possono andare a sedersi.
Speriamo non sia il mio, lo stadio è così grande.
Ecco che arriva il socio sparando una delle sue solite scuse, è un professionista, si allena da quando è bambino. Chi sa quante palle avrà raccontato alle maestre.
Per mio sollievo il gruppo “avversario” si reca verso il settore ospite, mentre io ed il ritardatario menzoniero abbiamo due posti tra la tribuna stampa e la curva occupata dai tifosi amici.
Cerco di concentrarmi sulla partita e di dimenticare tutto il resto. Intono ogni singolo coro con più ardore, e quelli meno sportivi li urlo a voce ancora più alta, come se li dedicassi a lei ed al suo degno compare.
Questo continuo gridare mi serve per sfogare tutto l’acredine latente rimasto. Una valvola di sfogo , poco elegante, ma molto efficace. I miei istinti animali vengono rinchiusi in ogni grido che esce dalla mia bocca, questa pronuncia prevalentemente tifo contro.
Finita la partita sono ancora in trance agonistica o sotto shock per quello che ho visto, non saprei dire. L’adrenalina inizia a sciamare lentamente.
Per dover di cronaca la partita è terminata a reti inviolate.
Come tutti i dopopartita ci rechiamo nella pizzeria d’asporto vicino allo stadio per uno spuntino ed una birra, il tutto riempito di commenti e riesumazioni di stralci del match appena visto, facendo uscire il piccolo opinionista che fa sempre compagnia all’allenatore su citato.
Saluto l’amico e decido di tornare a casa a piedi. Ho bisogno di rilassarmi e riflettere sugli eventi accaduti come facevano i peripatetici per le vie della Magna Grecia.
Arrivato al portone partorisco la mia frase zen. Il mio tantra della rinascita.
La vendetta è la rivincita dei poveri di spirito.

1 commento:

Anonimo ha detto...

grazie carminuzzo, un altro pezzo di cuore mi si è staccato leggendo il tuo racconto, e sai cosa ha staccato gli altri!
un gambarino
cits