28 novembre 2007

COMUNICATO STAMPA

Cari lettori,
di seguito potete leggere il comunicato stampa di un sito di satira (trovate il link in INTRATTENIMENTO www.nonrassegnatastampa.it ).
Loro sono davvero bravi.
Ora sta a voi diffondere il verbo, il sostantivo e tutti gli altri complementi..

Comunicato con preghiera di diffusione

Il 13 dicembre 2007 “Non Rassegnata Stampa” www.nonrassegnatastampa.it compie un anno. 100 puntate di video satirici, liberi, indipendenti e senza censura. Per l’occasione stiamo organizzando una diretta web di 24 ore per rivivere gli avvenimenti del 2007 e lanciare un indomito 2008. Un’esperienza estrema di satira,comicità, irriverenza, ironia, musica e perversione per ricordarci che con la volontà, la passione e l’impegno è possibile immaginare qualcosa di diverso. Se anche tu vuoi parlare di un’iniziativa, presentare un progetto o fare una denuncia ti aspettiamo in studio nello spazio “interviste senza filtro”, via skype per i “fuori sede”, con una mail per i “sedentari”. Un’intera giornata dedicata a tutti noi che non ci rassegnamo ad una realtà mediatica distorta e artisticamente depressa. Non ti chiediamo contributi in denaro ma spirito d’iniziativa e creatività per aiutarci a pubblicizzare questa scommessa di 1440 minuti in diretta, che potrai trasmettere anche sul tuo blog. Ogni giorno sul sito www.nonrassegnatastampa.it troverai un aggiornamento sullo stato dei lavori e attraverso lo spazio commenti potrai darci suggerimenti ed adesioni.
Filippo Giardina & Mauro Fratini

26 novembre 2007

Passo 4


Eccomi in questa nuova città, che di nuovo ha ben poco. I giorni sono passati ed ormai sono quasi quattro mesi che mi sono quasi trasferito in questa città fluviale. Si può quindi ben dire che è passata una intera stagione. Una stagione che ha portato freddo e pioggia all’improvviso, cancellando tutti i ricordi della calda estate.
Arrivato in questa nuova avventura lavorativa, mi ci sono buttato a capofitto come un novello Indiana Jones. Ho affrontato pericoli e trabocchetti ma per fortuna ora sembra che si stia navigando in acque più tranquille. Non mi sono dato tempo di pensare a niente. Mi sono tirato il culo come neanche Giovanni Rana con le sue sfoglie. Di Giorno in ufficio, e la sera qualche uscita, ma sempre con i colleghi. Questo ha fatto sì che si formasse una bella atmosfera da associazione goliardica. E le sere rimanenti le passo in residence a pensare come risolvere i problemi sorti durante la giornata o a come migliorare le cose. Nei fine settimane in cui non tornavo a casa andavo in giro per mostre e musei o a fare il semplice turista per caso alla ricerca della parte nobile, e non, di questa città che mi ha accolto nei miei giorni più neri. Ogni volta che ripensavo a lei e cercavo di capire come fossimo giunti a quel tipo di rottura il lavoro mi veniva in soccorso e rimandavo le mie elucubrazioni ad altro momento e se non ero a lavoro, indossavo le mie scarpe da corsa e via a mangiare qualche chilometro.
Come già detto questa stagione è finita. Si è affacciata un po’ di primavera qualche giorno fa. Sono un paio di giorni che ho allacciato ottimi rapporti con un’indigena, e questo mi aiuta a pensare ad altro oltre il lavoro, così da evitarmi l’alienazione totale.
Questa donna è entrata nella mia vita a causa della sbadataggine di un’altra donna.
Tutto è iniziato così:
la mattina prima di un’importante riunione, facendo un brain storming davanti alle macchinette del caffè, una delle dipendenti della società per cui presto la mia consulenza mi ha versato addosso i due caffè che stava portando. Risultato due belle medaglie da fare invidia ad un generale pluridecorato e due ustioni che mi fanno commuovere. La ragazza si scusa e continua a ripetere che non l’ha fatto a posta. Vorrei ben vedere.
Camicia e cravatta sono impresentabili alla riunione. Per fortuna non tanto lontano dalla sede del cliente c’è un negozio di abbigliamento, visto che il residence non è proprio dietro l’angolo ed indosso l’ultima camicia pulita in mio possesso, oltre al fatto che non ho poi così tanto tempo.
Infilo il giubbotto, e parto per l’acquisto. Entro in negozio, dove mi viene incontro una bruna in un completo maglietta e pantalone nero. Mi trattengo del tirar fuori la mia solita battuta su Marcel Marceau perché la fretta e la tensione per la riunione me lo impediscono. Mi chiede come può aiutami, con il solito sguardo da commessa, quello tra lo scazzato ed il sarò tua serva o mio padrone. Mi tolgo il soprabito e mostro il risultato del mio scontro. Lei guarda e non ce la fa a trattenere una risata. Io la guardo un po’ infastidito e lei se ne accorge. Con una mano si copre la bocca e con l’altra indica le mie due belle patacche che si stagliano sulla mia bella camicia, e mi dice che le ricordano le macchie di quel test psicologico che fanno vedere sempre in tv (le macchie d’inchiostro del Rorschach), e che lei ci vede la faccia di due che stanno litigando.
Mi volto verso lo specchio e, a ben vedere, non ha tutti i torti, ed anch’io alloro le sorrido, ma la pressione da riunione è ancora forte. Le chiedo se ha una camicia ed una cravatta.
Mi squadra un attimo e si lancia verso uno scaffale e poi un altro. Torna con una camicia a tinta unita ed una cravatta regimental rossa con righine argento e blu, non è proprio il mio stile ma l’insieme non mi dispiace. Sto andando in camerino per indossarle quando lei mi chiede il favore di fotografare la mia camicia, così da poterla spedire a FOTOBUFFEDALMONDO, una rubrica del giornale cittadino. Le do il consenso e lei scatta usando uno di quei cellulari ultra piatti che oltre alle telefonate permette di fare così tante cose che il libretto d’istruzioni ti viene mandato a casa in comodi fascicoli.
Vado in camerino a cambiarmi ed esco come nuovo. Camicia e cravatta non sono male. La ragazza ha buon gusto. Chiedo un suo parere, e lei mi sorride prima di aggiustarmi il nodo della cravatta. Ora è a posto. Mi accompagna alla cassa per pagare e lì il dramma.
Ho lasciato il portafogli nella giacca in ufficio. Cazzo!!!
Ed adesso come faccio? Guardo l’orologio ed ho 10 minuti per arrivare in ufficio, quindi non faccio in tempo ad andare a prendere i soldi e a tornare. Sono ad un passo dall’entrare in panico, quando lei mi sorride e mi chiede se ci sono problemi. Le spiego la mia sbadataggine e le chiedo il favore di lasciarmi andar via. Se vuole le lascio la camicia e la cravatta sporche in pegno più la catenina, regalo di cresima, e l’orologio, dono per la comunione.
Lei legge la mia agitazione e mi dice che non c’è problema. Ho un viso che ispira fiducia ed è sicura che tornerò a saldare il conto e che non c’è bisogno che lasci nulla. Mentre la ringrazio mi accorgo che non ci siamo neanche presentati. Si chiama Claudia. La ringrazio e le prometto che passerò in serata a regolare il mio conto.
Va da sé che la riunione è stata seguita da un'altra riunione ed ho fatto tardi. Per fortuna tutte andate a buon fine. E mi hanno fatto anche i complimenti per la cravatta. A dirla tutta il mio capo, che è una donna, ha usato queste parole: “Finalmente una cravatta da consulente serio”.
Peccato che quando sono arrivato al negozio la serranda era già giù.
Mi sono guardato in giro per vedere se magari è ancora nelle vicinanze. Niente. Chi sa cosa avrà pensato di me e cosa penserà domani che non mi vedrà, visto che devo rientrare oggi a casa. Che figuraccia. Speriamo che non le creino problemi.
Torno a casa e continuo a pensare a lei. Se avessi almeno il suo cellulare la potrei avvertire. Le potrei spiegare cosa è successo.
Arrivato a casa crollo nuovamente addormentato sul divano.
La mattina appena sveglio cerco il telefono del negozio su internet. Trovato. Peccato che sia sempre occupato. Per fortuna che con il numero di telefono ho trovato anche l’indirizzo.
Mi viene un’idea.
Mi vesto. Mi ricordo di prendere il portafogli, questa volta, e vado dal fioraio che c’è vicino alla chiesa di zona. Entro e chiedo se è possibile far arrivare un mazzo di fiori all’indirizzo del negozio di Claudia. Lui mi dice che non c’è alcun problema. Il mazzo arriverà in giornata.
Le scrivo un biglietto di scuse da allegare al mazzo di fiori.
Speriamo le piacciano.

23 novembre 2007

Catene interrotte

Si avvicina l'inverno, e con il pericolo neve sembra che tutti stiano tirando fuori le catene.
Peccato che queste catene siano tutte di S.Antonio, e quindi non capisco perchè le inviino a me.
Per evitare di generare nuovi flussi di mail espongo il seguente manifesto di protesta civile.


Messaggio mandato da un anonimo dalla provincia di Verona, in risposta a tutte le catene di S.Antonio che ha ricevuto.

Gavi' da piantarla!De mandarme cadene del porco...e simili, tipo che el mondo l'è belo ma solo se rispedisso tuto subito, se no son sfiga', come el negro de l'Alabama che no ga' risposto a quatromilasinquesento imeil e no ga' fato in tempo a dir "a" che l'era za col vestito de legno (tradotto: morto e stramorto), o el cauboi John, tessano, che ghe casca' i maroni parché nol ga risposto, etc, etc.
Par no parlar de quei che me manda imeil disendome che sicome ghe un provaider (fatalità american) che par ogni imeil che ghe riva el dà un centesimo in beneficensa ala lota contro la peste scaveona, e alora bisogna mandarghene a seci...me gà rotto i cojoni!
O staltro che el gà na fiola con na malatia rarisima che nissuni sa cosa lè (sto qua el sta in missuri), che el te dà anca el numero de telefonin parché te ghe telefoni ti (credeghe!) a darghe notissie su lecure possibili (che po' se te guardi le date te scopriressi che xe passà almanco tri ani da che lè partia la cadena, quindi tanti auguri...).
A mi te me vien a domandar robe mediche, che vivo in frassion de Isola dela Scala a Verona e son gnaca bon de tacarme un ceroto?
Po' quei che me dise che ghe el virus dela posta eletronica che se non te ste atento telo ciapi anca ti e lè pezo che andar co na nigeriana (e saven tuti a cosa se va incontro...), alora te ghe da riempir tuti de imeiletc etc...Quei po'... che me manda la fotocopia del centro antitumori de Aviano dove i senzsiati te dise che i ovi condii i fa vegner el cancro a l'usleo... e che farse un sciampo lè peso de fumarse tri steche de"ms sensa filtro".
Ancora quei contro i giaponesi, che secondo lori i metaria i gati e le butiglie, co l'urlo de bataglia "impenemoghe el sito!"...
Par non desmentegarme de ci me manda scrito che ghe quei dela Erisson che i da via i telefonini come i fusse bagigi e adiritura che lori i là proà e funsiona (!?!): basta "inviar el mesagio a tuti quei che te conossi" e te si a posto: tempo do stimane e riva el sior Erisson, Mario J.J. Erisson in persona, aministratore delegato dela dita omonima o anonima, non me ricordo coma se dise, il cuale sa tute le meil che te mandi, e teporta sul porton de casa el scartosso col telefonin ultima generasion col Trial Band e il giprrs e custodia de pitone ancora che se move...
A sto punto feme un piaser: mandime foto porno, film porno, barzelete e putanade varie ma
BASTA CO STE CADENE!
Che n'altro poco a verzo na feramenta e taco a vendarle.
Con la speranza che sta meil no la riva in luisiana a una che le' drio farse i cassi soi...

(ATTENZIONE: se conoscete l'autore segnalatelo!!! E' un mito!)

19 novembre 2007

Passo 3


Non so quanto tempo sia passato, so solo che quando mi sono alzato dal mio trono in ceramica fuori era giorno.
Mi sono tolto i vestiti rimastimi addosso e mi sono infilato sotto la doccia. L’acqua ha portato via un po’ del nero che avevo dentro, per fortuna. Esco dal box doccia cercando di non guardare la bacinella dove è a mollo il mio zaino. Mi asciugo frettolosamente ed esco dal bagno. Mi infilo in camera da letto, guardo il letto e rivedo lei in una serie di fotogrammi. In ognuno c’è lei, raggomitolata nelle lenzuola, che apre appena gli occhi e mi sorride quando la chiamo per alzarsi.
Mi sento soffocare. Una specie di claustrofobia allergica al luogo. Prendo giusto un paio di boxer dal cassetto del settimino ed esco. Mi sdraio, avvolto nella coperta, sul vecchio divano di Vanessa, che ora è in California. Lei, un altro cervello in fuga, con tutto il suo bel personalino di accessori, dalle università italiane.
E come al solito mi addormento nel giro di pochi secondi. È incredibile. Ogni volto che andavo a casa di Vanessa per studiare o cenare con gli altri, immancabilmente quando mi sedevo sul suo divano crollavo addormentato. Era la mia versione di arcolaio soporifero. Solo che io non sono mai stato molto bello quando dormo, o almeno questo è quello che mi hanno raccontato.
Comunque dormo e non faccio sogni, o se li faccio non me li ricordo.
Vengo svegliato da una voce femminile. Non riesco a capire cosa dice e di chi sia. Le palpebre si alzano in modalità LENTO, anzi MOLTO LENTO. Mi giro ed al posto della voce di prima c’è quella di un uomo. Cavoli, mi sono addormentato sul telecomando e d ora in video c’è Piero Angela che parla di non so cosa. Mi siedo e spengo. Butto il telecomando sulla poltrona e prendo la testa tra le mani. Sono cosi debole che la scatola cranica mi sembra fatta di marmo, tanto che devo appoggiare i gomiti sulle gambe. Trovata la posizione di equilibrio fisico, devo affrontare il disequilibrio emotivo che ho dentro. Mi sorgono talmente tanti dubbi da poterci scrivere un libro di quiz da settecento pagine. Le domande si susseguono, ma le più gettonate sono: PERCHE’, ED ADESSO? Non riesco a trovare alcuna risposta. Cerco di attaccarmi a frasi fatte o a versi di canzoni. A racconti letti e sentiti dalla viva voce di chi li ha vissuti.
L’unica cosa che so è che non posso restare qui. ho bisogno di cambiare prospettive per vedere meglio la cosa e lo devo fare in fretta prima di fissarmi ed impazzire.
Devo salire sul monte a riflettere.
Mi torna in mente, come un flash, l’ultima riunione ha cui ho partecipato. La presentazione del nuovo progetto, l’offerta/richiesta di seguirlo, il fatto che si parla di almeno 8 mesi in un’altra città, a solo duecento chilometri da qui. Il che significa restar fuori tutta la settimana, ma poter tornare in poco tempo a casa se fosse necessario. Il capo che mi dice che lunedì mattina gli devo dare una risposta, e che si augura che sia sì, ed essendo uno start up, questo gioverebbe molto alla mia carriera.
Se prima avevo dei dubbi, perché voleva dire allontanarsi da... ho finito le figure allegoriche, ora mi sembra una fortuna. La soluzione provvidenziale, anche se in realtà questa fuga risolve solo il contorno del problema.
Chiamo il mio capo, ma mentre compongo il numero mi accorgo che è domenica, domenica notte.
Ora che ho le idee un po’ più chiare mi è venuta una gran fame. È un po’ di tempo che non mangio, e l’ultima volta ho ingerito solo stuzzichini da bar. Vado in cucina, o come c’era scritto nell’inserzione, piccolo angolo cottura separato dalla sala. Apro il frigo e i vari pensili. Metto insieme un po’ di formaggio, delle olive, un vasettino di acciughe e due pomodorini sott’olio, regalo della mamma. GRAZIE MAMMA. Il tutto accompagnato da in sacchetto di tarallucci e da un po’ d’acqua.
Per un po’ è meglio che stia lontano dagli alcolici.
Mentre mangio inizio a far progetti. Devo tenere la mente impegnata su di me.
Se ricordo bene la partenza è prevista per mercoledì mattina. Non è necessaria la mia presenza, ma mi hanno fatto capire che se accettavo sarebbe stato meglio che io fossi lì dall’inizio. Comunque ora non c’è nessun problema. Se ricordo bene il calendario dovremmo iniziare con un giro per presentarci al cliente e conoscere il luogo. Riunioni per i primi tre giorni per definire tutte le richieste base ed avere una pittura dello scenario di lavoro. Dovrei trovare lì il gruppo di Mariella, che ha iniziato a lavorare sul cliente ormai 4 mesi fa.
A proposito. Se ricordo bene sarei l’unico della mia sede, per il resto dovrebbero essere tutti colleghi della sede principale dell’azienda, quella della capitale, più forse qualche terza parte indigena. Meglio così. Aria nuova e nessuno che ti fa domande sulla tua vita privata.
La mente si concentra su tutti i particolari dell’organizzazione. Valigia, vestiti da prendere, numero di magliette, mutande e calzini. Cosa mettere nella trousse da viaggio. Quali medicinali è meglio avere dietro. Aspetta non vado all’estero, e le farmacie si trovano anche lì. Documentazione da recuperare. Persone da avvertire. Potrei sentire Carla. Chi sa come le va la vita. È un po’ di tempo che non la sento. Vuoi vedere che è riuscita finalmente a rimanere in cinta. Se ricordo bene sono quasi sei mesi che lei e Luca cercano di avere un figlio.
Devo ricordarmi di chiedere a Mariella se nel suo residence c’è posto, se ci fosse potrei tornare un fine settimana si ed uno no, così da poter visitare la città e riallacciare i vecchi contatti con quelli del mare.
Non sono stanco e potrei andare avanti tutta notte, ma è meglio che vada a dormire. Domani voglio essere presentabile quando dirò al capo che accetto. Quindi vado a dormire.

Sul divano.

15 novembre 2007

Passo 2


Vediamo di ricapitolare gli eventi della giornata. Un po’ di ordine non fa mai male, e di mal in questo momento non so se ne provo di più o ne vorrei provocare di più.
Calma. Allora partiamo dall’inizio, dall’inizio di questa giornata di merda.
Mi sono alzato, lavato ed ho preparato la colazione per me e per la mia…per la mia cosa? Questa mattine credevo di amare la persona con cui avevo condiviso il giaciglio, ne ero quasi sicuro, ed ora sto elencando mentalmente tutti i modi possibili per ucciderla e farla franca. E sono giù arrivato a quota 56. Comunque fatta colazione sono uscito di corsa perché avevo un appuntamento in ufficio. E dire che mi ha anche baciato mentre uscivo di casa e lei entrava in bagno. La zoccola (e quando ci, vuole ci vuole).
Giornata piena in ufficio, ma alle diciotto, com’è mie abitudine da quando il mio contratto è passato dalla certificazione del precariato a quella di un impiego a tempo non determinato, guardo le mail del mio indirizzo di posta elettronica privato. Ecco che il sistema mi segnala la mail del mio…errore. L’oggetto è: ULTIMO BACIO, come il film.
Subito avevo pensato al bacio che ci eravamo scambiati nel piccolo corridoio del mio appartamento.
Si perché l’appartamento è mio, o meglio, è di alcuni banditi fino a quando non pagherò tutto il riscatto sotto forma di rate del mutuo
Leggo le prime parole e le tempie iniziano a picchiettarmi come se un batterista punk volesse usare la mia testa come grancassa. La bocca si è seccata neanche avessi in bocca della carta assorbente. Mi sembra anche che la lingua si sia ingrandita. Faccio un po’ fatica a respirare. La vista mi si offusca.
L’ULTIMO BACIO era quello di Giuda.
Quello che sono riuscito a capire è che: l’essere con cui ho dormito, l’ultima notte, mi dice che non ho capito che lei voleva qualcos’altro dal nostro rapporto, che io non riuscivo a capirla ed infatti non avevo capito e non capivo neanche ora. Ecco un altro acceleratore per la mia rabbia. Odio quando mi dicono che non capisco. Mi fa imbestialire. Forse non sono io che non ho capito sei tu che non ti sei spiegata. CAZZO.
Scusate, mi sono fatto prendere dalla foga. Allora dove eravamo rimasti. Ah si. Alla mail.
Lei , solo perché chiamarla bestia è troppo riduttivo e tutti gli altri epiteti che mi vengono in mente sono troppo volgari, invece aveva capito che non mi amava più, che forse neanche io l’avevo mai amata, ma che credevo solamente di provare quel nobile sentimento per lei.
Che l’avevo soffocata con le mie aspettative, che non riuscivo ad accettarla per quello che era, che lei non si sentiva la sicura di me, ed un’altra serie di farneticazioni.
Scuse ed accuse per farla breve.
Spengo il PC. Mi alzo e barcollando raggiungo la macchinetta dell’acqua. Le mani mi tremano e non riesco a bere, ma per lo meno mi sono bagnato le labbra.
Prendo la giacca ed esco.
Non provo neanche a chiamarla. Non saprei che dirle.
Non voglio tornare subito a casa.
Vado in giro per le vie del centro.
Ho bisogno di parlare con qualcuno però. Provo con Mario. Risponde ma mi dice subito che ora non può perché è in riunione, si in riunione con qualcuna delle sue belle, ma mi rassicura che appena ha finito mi richiamerà. In quel momento sento un suono familiare. È la suoneria che ho registrato a quella str…. Cade la linea.
Sono sicuro. Quella suoneria è unica, inconfondibile. Sono io che canto. Canto una versione rivista, da me, di Gianna di Rino Gaetano. Quante prese per il culo da parte dei miei amici mi è costata.
Entro in un bar.
È l’ora dell’Happy hours. Ed io di ore felici ne avrei bisogno più che mai adesso.
Ordino il primo drink e lo butto giù in un attimo. Sento subito l’alcol fare effetto. Ordino il secondo. Ed anche questo giù alla goccia. Prima del terzo sgranocchio qualcosa. Continuo ad ordinare drink e mi fermo solo quando non riesco più a contarli e tutto assume la consistenza del pongo.
Esco. L’aria fredda mi restituisce quel po’ di lucidità che mi permette di arrivare a casa scortato da un taxista, che mi ripete che la città sta cambiando, delinquenza, calciatori, politici corrotti, polizia, tariffe. Non capisco. Faccio finta di seguire come facevo a scuola. Ogni tanto annuisco. Dai finestrini trasmettono immagini con tempi di esposizione troppo lunghi, o forse sono io che ci metto troppo tempo a mettere a fuoco questa città sfuocata.
Non so che giro abbia fatto l’autista, mi sembra che ci abbiamo messo un tempo sbagliato. Non riesco a capire se troppo poco o troppo lungo. Pago la corsa e scendo. Ora sono abbastanza lucido da metterci solo 5 minuti per aprire il portone. Per fortuna c’è l’ascensore, ed anche se devo fare solo un piano è meglio non arrischiarsi con le scale. Sono fortunato e becco dalla pulsantiera il tasto del mio piano.
Uscendo incespico in non so cosa e sbatto contro il muro di fronte. La mia porta è la prima a sinistra. Dista solo un metro. Lo copro in un passo ed un’altra botta, questa volta contro la porta.
La guardo e noto qualcosa di strano. Non sapevo di aver aggiunto altre 2 serrature a fianco di quelle che già c’erano. Per fortuna che anche le chiavi sono raddoppiate.
Sto male. Ora sto male anche fisicamente. Mi viene da vomitare.
Sono ancora nell’ingresso quando risale, via esofago, il primo singulto. Corro subito verso il bagno, cercando di spogliarmi durante il percorso. Se qualcuno potesse vedermi ora sembrerei il concorrente di non so quale gioco senza frontiere. Un fil rouge con ostacoli invisibili. Apro la porta del bagno con una testata degna di Zidane. Intravedo la bacinella che la putt… usa per lavare il suo cane, quando lo porta da me. C’è qualcosa dentro ma non capisco cosa. Non ce la faccio più a trattenermi. M’inginocchio davanti al water e do via alla nuova scena dell’esorcista.
Finito il getto mi alzo e mi sciacquo la bocca nel lavandino. Sono incerto su cosa utilizzare per fare i risciacqui che mi tolgano il sapore acido che mi è rimasto in bocca. Opto per il dentifricio alla menta peperita. Inizio a spazzolarmi i denti e mi guardo allo specchio. Il mio viso riflesso mi fa impressione. Ha un colorito verdognolo, sotto gli occhi ho due zaini da giovane campeggiatore nordico, una serie di segni sulla fronte ed un leggero arrossamento sotto l’occhio destro. Mi sa che domani sarà un po’ più nero.
Sciacquo, sputo, risciacquo e risputo.
Mi giro lentamente e mi fermo, mentre la mia testa continua a girare. Mi appoggio al lavandino. Abbasso la testa e chiudo gli occhi. Cerco di prender fiato mentre tiro su lentamente la testa.
Quando la sensazione da toboga si attenua apro gli occhi e vedo lo scempio.
Il mio zaino.
Mi siedo sul water ed inizio a pensare al mio primo zaino.

12 novembre 2007

Passo 1


Avevo due scelte in quel momento. Farmene una ragione od iniziare ad odiare. E così ho iniziato ad odiare. Vi chiederete odiare chi o che cosa, a odiare lei, la persona che fino a poco tempo fa amavo. Ma iniziamo dal principio, visto che non è ancora così lontano.
Era l’ultimo ricordo rimastomi di mio nonno. La cartella in finta pelle che mi era stata regalata il primo giorno di scuola e lei, con la sua migliore amica l’aveva utilizzata per distrarre Rudy, il suo cane bavoso mentre gli facevano il bagnetto. Sono entrato in bagno e rovisto lo scempio. La mia prima cartella lì che galleggiava ancora nella bacinella utilizzata da piscina canina. Un fremito, come una specie di scossa mi percorse da capo a piedi. Iniziai a tremare. Lei sapeva quanto ci tenessi a quel ricordo. Quante volte le avrò raccontato la storia di quel oggetto, di quel ricordo. Alla fatica fatta dal mio progenitore per potermela comprare.
Era l’estate del 1980. Come era convenzione i mesi estivi li trascorrevo, insieme ai miei fratelli, con i miei nonni nel paese di origine dei miei genitori. Un paesino molto piccolo rispetto alla città industrializzata in cui vivevo il resto dell’anno.
Ricordo che quando dissi a mio nonno che avevo visto la cartella dei miei sogni, lui mi aveva chiesto di accompagnarlo a vedere questo miracolo della conceria. Solo anni dopo mi resi conto di come era cambiata la vita di mio nonno da quel giorno. Non c’erano più le sigarette e la bottiglia di vino. Bevevo ancora vino, ma sfuso, e le sigarette se le faceva da solo con le foglie di tabacco che raccoglieva nei campi. Ricordo che costringevo mia nonna a passare davanti alla vetrina dove era esposta la cartella, ogni volta che tornavo con lei dalla visita alla bis nonna o a qualche parente o solo a fare due passi nel centro del paese per andare a trovare il nonno al bar. Mio nonno all’epoca lavorava nel bar del dopo lavoro ferroviario, dove il bicchiere di spuma era il premio se mi ero comportato bene. Quando il mio avo non lavorava al bar dava una mano al fratello nella raccolta del tabacco e della frutta. Mi capitava di accompagnarlo. Lì in mezzo i campi lo sentivo raccontare del periodo della guerra, del suo rientro a piedi dai piani di Asiago, del periodo in cui aveva fatto la corte alla nonna. Di come andavano piantati i piedi del tabacco e di come andava raccolto. Quando non ero con lui ero a scorazzare per i campi con i miei procugini ed i figli dei contadini della zona.
Come era solito arrivarono anche i miei genitori, e con loro le gite al mare ed a trovare i parenti più lontani. Erano i giorni più sfrenati e pieni. Mia madre aveva un'organizzazione teutonica. Mattina mare, non prima di essersi fermati a comprare i maritozzi ed i panini alla panetteria vicino alla spiaggia. Sole mare. Rientro a casa per pranzare con i nonni. Pennichella perché il sole era troppo forte. Pomeriggio a fare visita a qualche zio o amico da cui si restava solitamente a cena. Una di quelle cene da mettere a rischio la salute vascolare.
E poi gli ultimi giorni di vacanza. Il rientro a casa, ed all’epoca non si parlava di partenze intelligenti e quindi ci si trovava tutti in autostrada.
La cartella era svanita dai miei pensieri, sino alla mattina del 15 Settembre 1980. Il mio primo giorno di scuola. La sera prima avevo controllato il grembiule ed i vestiti da indossare. Le scarpe erano pulite e tutto era in ordine. E la mattina dopo aver fatto colazione, lavati i denti e la faccia, ero andato in camera mai a vestirmi ed indossare il grembiule, in quel mentre è entrata mia madre con lo zaino in mano. Mi sorride e mi dici che è un regalo di mio nonno. Gliela strappai di mano e la strinsi, l’accarezzai, ne sentii il profumo e la consistenza. La misi sulle spalle e mi nacque un sorriso. La sera di quel primo giorno, mi feci aiutare da mia madre per telefonare a mio nonno per ringraziarlo.

A quello zainetto erano legati la paura del primo giorno di scuola, la sensazione di essere grandi quando avevo capito che le linee ed i cerchietti si erano trasformate in parole, e che le parole potevano essere scritte e lette. Lì avevo celato le prime letterine d’amore scambiate con la ragazzina dai capelli rossi. È stato per un lungo periodo il mio nascondiglio segreto. La cartella in fondo l’armadio. Ci sono state cose di cui forse mi sarei dovuto vergognare, ma quando sei adolescente la vergogna è l’ultima cosa che ti passa per la mente quando hai certe pulsioni. Ci ho custodito i miei attestati prima di appenderli in ufficio, le foto degli amici vicini e lontani, come si diceva una volta. Sempre lì. Mi trasmetteva un senso di sicurezza. Era la mia cassaforte sentimentale. Ed ora non era altro che una poltiglia informe.
Questo era stato il suo ultimo atto dopo avermi detto che mi lasciava perché non la capivo, perché di me non si poteva fidare, perché aveva trovato un altro.
Chiudo gli occhi perché anche se erano aperti non riuscivo a vedere nulla. Sento delle onde di rancore fluire in ogni capillare. Se facessi qualsiasi cosa ora sarebbe violenta e distruttiva. Potrei veramente fare qualcosa di cui potrei pentirmene. Potrei mostrare al mondo uno degli esempi più alti del peccato dell’IRA.
Cerco una posizione simil yoga e inizio a ripetere il mio tantra per questi momenti. ICEMAN ICEMAN ICEMAN sino a quando il cervello da rosso furia torna a diventare grigio. Ed il mio tantra cambia. VENDETTA VENDETTA VENDETTA.

05 novembre 2007

Notte buia - Fine...forse


DOON DOON DOON Tre rintocchi di campana.
Nuovamente tre rintocchi di campana. Ancora tre rintocchi di campana. Tre rintocchi di campana, che come fossi un’ orso ammaestrato, mi fanno spalancare gli occhi. Luce. La luce me li fa richiudere immediatamente e riaprire con lentezza, come quando ci si è fatti male e si procede timorosi a ripetere l’esercizio. Il sole sta sorgendo e posso vedere distintamente la linea della notte che si sposta a Ovest.

DOON. Un quarto rintocco.
Ora che: gli occhi si sono abituati alla luce e gli ingranaggi del pensiero a muoversi, mi rendo conto di essere in macchina. Sul ciglio della strada. La macchina è accesa anche se il motore non emette suono. La radio spenta. Una luce rossa sul cruscotto indica che sono rimasto senza benzina.

DOON. Quinto rintocco.
Ho tutto il corpo indolenzito. Mi fa male il collo, la schiena, le gambe. La testa è come se fosse immersa in un liquido denso ed oscillasse su una zattera in balia delle onde cerebrali. Respiro.

DOON. Sesto rintocco.
Poche macchine sfrecciano sulla strada deserta. Strano non c’è traffico. Ma è vero!!! Oggi è festa. Oggi si festeggiano tutti i Santi e la gente inizierà a muoversi solo quando le dimore di chi non si muove più apriranno.

DOON. Settimo rintocco. L’ultimo
L’orologio della macchina segna le ore sette; me ne accorgo solo ora.
Qualcuno bussa al finestrino dell’auto. Afferro d’istinto il volante dell’auto, ma ritraggo subito le mani. Il segnale di dolore è arrivato da entrambe le estremità sino alla sede centrale dei miei pensieri, sino a far friggere, con i due impulsi, il poco di materia grigia non ancora sbiadita.

Guardo i palmi. Ci sono due cicatrici. Due sfregi che tagliano le linee della vita, giusto a metà. Sento ancora bussare ed una voce, attutita, mi chiede se va tutto bene. Mi volto.
C’è una ragazza con il viso preoccupato che mi guarda e che guarda le mie mani. Il suo viso mi ricorda qualcosa. Una specie di déjà vu, ma faccio fatica a capire dove, come e quando, anche se ho la netta sensazione che non sia successo tanto tempo fa.
Apro lo sportello e scendo. Lei continua a far balzare il suo sguardo dal mio viso alle mie mani. Anch’io d’istinto fisso i miei palmi e poi alzo le mani, come se volessero rapinarmi, per cercare di rassicurarla. Mi presento e le spiego che mi sono addormentato in macchina, con la macchina accesa ed ora sono senza benzina. Non ricordo come mi sono fatto quei due tagli solo che ora mi danno fastidio. Mi guarda con una faccia tra lo stupito ed il dubbioso. Le chiedo se gentilmente mi può dare un passaggio al primo distributore. Lei mi guarda ancora un po’ titubante e non potendo giocare il cinque od il fante mi fa un sorriso. Si presenta.
Si chiama SaraMariaChiara tutto attaccato. E ci tiene a sottolineare il fatto che sia tutto attaccato. Ora sono io che la guardo con viso stupito. Penso che questa gentile ragazza mi stia prendendo in giro. Lei capisce la mia perplessità e mi dice che inizia ad avere un po’ freddo, quindi di salire in macchina e che lungo il tragitto verso il distributore mi racconterà di come gli sia stato appioppato questo nome unico e trino.
Saliamo sulla sua macchina, una miniminor verde bottiglia che ricorda molto quella di Mr. Bean. Lei guida in maniera un po’ troppo aggressiva per i miei gusti, ma poco importa. Cerco di concentrarmi su quello che mi sta dicendo.
Mi sta raccontando la storia del suo nome. Come ogni tanto si senta tre persone diverse. Una rossa, una nera ed una bionda. Ma questa è già un’altra storia.