27 luglio 2008

Torino - 23° puntata


Questo più che un post di resoconto sulla settimana trascorsa. È un post per esorcizzare un brutto momento. Come dicono gli amici mi è salita la scimmia ed ora devo cercare di farla scendere.
Quindi iniziamo a descrivere un po' l'ambiente da dove arriva questa fissa.
La settimana non è stata delle più semplici, iniziando con una battuta mal interpretata che mi ha messo a rischio taglio. Per fortuna che la professionalità e l'avvertimento di una collega mi hanno permesso di pararmi il culo. La vita in ufficio poi è stata caratterizzata dall'essere stato abbandonato a seguire un corso in lingua inglese, su un argomento di cui non sapevo nulla, tenuto da un tedesco che sembrava uscito da un gruppo metallaro anni '80, con le persone davvero interessate che se ne fregavano, in una stanza afosa e mal areata. Insomma non proprio una bella vita.
Quindi avevo proprio bisogno di uno svago, e la cena a casa di una delle persone che ho conosciuto a Torino doveva essere la mia valvola di sfogo.
Peccato che su dieci persone io fossi l'unico non fumatore.
Peccato che i murazzi non siano poi così “cult”, ed io abbia rischiato di essere approcciato da un travestito che ricordava nelle forme il pilone degli AllBlack e nel look una velina, mentre cercavo dell'area non viziata dal fumo.
Peccato che i miei colleghi fossero così brilli, che io abbia dovuto fare loro da balia e riportarli al residence.
Peccato che guidare alle 5 di mattina con quattro ubriachi tabagisti in astinenza da fumo, in una città le cui vie non domini, non sia il massimo, e soprattutto non serva a toglierti lo stress ma anzi. Peccato che per prendere un pacchetto di sigarette dal distributore automatico ci abbiano messo trentacinque minuti, che io abbia dovuto ripetere mille volte al collega di non urlare.
Peccato che scaricata la prima passeggera, io abbia pensato che mancasse poco al letto, ed invece, questa tabagista in crisi, resasi conto di non avere sigarette abbia provato a venirle a prenderle direttamente nella macchina.
Per fortuna che l'ho vista e che nella corsia opposta non arrivava nessuno.
Per fortuna che me la sono cavata con uno spavento ed un piccolo graffia all'auto del collega, perchè tutti gli altri non hanno capito cosa fosse successo.
Ma il peggio doveva ancora venire. La mattina dopo ero l'unico che si ricordava dell'accaduto. La tabagista folle, con lo sguardo più ingenuo del mondo non si ricordava di nulla ed andava in giro a chiedere cosa avesse mai fatto.
Nessuno si ricordava di nulla o nicchiava, tanto che io ho ricontrollato se il graffio sul passaruota anteriore ci fosse o tutta la storia me la fossi solo sognata.
Ed ora, ogni tanto, quando chiudo gli occhi rivedo la scena. E penso che ci saremo potuti fare davvero male, e tutto questo per una stupida sigaretta. E non so...

Nella prossima puntata si parlerà di...

p.s. grazie a tutti gli amici che hanno sopportato questo mio sfogo anche dal vivo.

20 luglio 2008

Torino - 22° puntata


Ed un'altra settimana è passata sotto il cielo piemontese.
Questa è stata la settimana in cui ho ritirato al pagella. Promosso se a qualcuno interessasse.
La settimana in cui, uscendo dall'assicurazione ho visto una scena da Candid Camera:
viale, auto svolta a destra e fa cadere ragazzo in motorino, almeno credo che sia questa la dinamica guardando al posizione dei veicoli, quando arrivo io il centauro si sta togliendo il casco prima che la pressione dovuta alla quantità di parolacce lo faccia esplodere. Ed ecco che spunta testa rasata, ma per scelta evidentemente politica, che contrasta con la figura del rabbino che scende dall'auto. Il livello della comunicazione, o meglio delle grida del , sala a livelli da portar fuori la gente del bar vicino. Lo vedo iniziare a guardarsi in giro in cerca di strumenti di vendetta, ma per fortuna gli astanti si frappongono tra i due e per la prima volta sento le sirene della polizia echeggiare in arrivo. Un ultimo sguardo per controllare che non ci sia nessun tentativo di utilizzare il fornetto del bar da parte dell'offeso fisicamente, e corro alla consegna del mio attestato.
Questa è la settimana in cui il pettegolezzo è regnato sovrano, dove si parlava come riviste d'attesa dal parrucchiere. Quella se la intende con quello. Quei due hanno una tresca. Se non hai i soldi non stare neanche a provarci. Lui stava con la sorella di lei, ma poi l'ha lasciata e si è messa con la collega, ed ora l'aria in ufficio è palpabile come un culo nella folla. Quello deve essere un eroe, arriva con una bionda e ritorna con una bruna (l'eroe sono io, ed è tutta una montatura, al mattina mi accompagnava una collega e la sera un'utente, care fans non preoccupatevi, sono sempre scapolo). Ma hai visto quella come si veste. È proprio una p...e via di questo genere.
La cosa strana non sono i pettegolezzi, ma vedere la faccia stupita della gente quando gli dici che in ufficio si fan pettegolezzi, a qualsiasi livello. Credo che in tutti gli ambienti, dove convivano più di due persone, si spettegoli, anche solo per passare il tempo.
Questa è la settimana del mio gol nella partita di calcetto. Gol di rapina alla Pippo Inzaghi. Calcio di punizione, il portiere si tuffa e devia la palla sul palo che rimbalzando sul mio adipe si insacca alle sue spalle. Ed ora non capisco perchè anche questa volta devo sentire il solito commento da parte degli avversari:” non è possibile, ha segnato proprio lui etc. etc. “ . Tutta invidia.
Questa è la settimana in cui una foto “simpatica” di una cena tra colleghi ed utenti italiani e non, è arrivata alla responsabile del progetto, che ha voluto sapere tutti i dettagli dell'evento mondano. Ora la foto è in viaggio per i paesi dell'est. Per i maliziosi, nella foto non vengono mostrate parti intime, ma ritrae solo una situazione buffa.
Questa è stata la settimana della cena aziendale, quella che vedeva come guest star il fondatore dell'azienda, che a proposito di pettegolezzi, si racconta sia essere intimo con i reali di Spagna e di avere nel suo ufficio busto di “Franco”. La cena a cui arrivo in ritardo per colpa della mia collega, ma anche quella in cui stringo la mano al presidentissimo mentre lui non stacca gli occhi dal decoltè della collega ritardataria, oppure si sente ripetere dal boss che la segretaria è la “Nr 1”, sempre fissando le grazie di quest'ultima. Quella in cui l'alcool è pagata dall'azienda e quindi lo si fa scorrere il più possibile e quindi cosa c'è di strano se un gruppo di consulenti alticci chiede al super presidente di fare una foto di gruppo. Quella in cui incrocio nella folla dei danzanti un vecchio compagno dell'università che mi chiede se ho colleghe gnocche da presentargli. Quella in cui anche il parcheggiatore abusivo ha un suo tariffario.
Questa è la settimana appena trascorsa. Tra alti e bassi. Tra buoni consigli dati ed ascoltati. Tra dormire poco ed il cadere in catalessi appena dopo cena. Tra il vai piano ed il vai più veloce. Tra il dire ed il fare. Va beh domani è già lunedì e si ricominciare.
Nella prossima puntata si parlerà di...

12 luglio 2008

Torino - 21° puntata



Si è conclusa un'altra settimana in quel di Torino.
Una settimana caratterizzata da dialoghi tra sordi che parlan lingue diverse. Ne riporto un paio giusto per capirne il tenore:

Ufficio, telefonata del capo:
Capo: ciao, hai risposto alla mail per la riunione di venerdì?
Io: no, non ho ricevuto alcuna mail
Capo: allora rispondi che è importante ed urgente.
Io: veramente non ho ricevuto alcuna comunicazione:
Capo: chiedi al tuo collega se ha risposto:
Io: sai qualcosa di una mail per una riunione venerdì?
Collega: io non ho ricevuto nessuna mail che parlasse di riunioni?
Io: capo, neanche lui ha ricevuto mail:
Capo: allora rispondete subito, che è urgente.
Io: ma veramente..
Capo: fai così, chiedi al collega se c'è e poi rispondi tu per entrambi:
Io: ma non abbiamo ricevuto nessuna mail:
Capo: ok, allora ci vediamo venerdì alla riunione e mi raccomando rispondi subito:
Io:?!?!?!?!?...va bene, ti metto in copia conoscenza
Capo: bravo, che a me non hanno inviato la mail.
Io:....clic.

Campo di calcetto, sto chiamando compagno di squadra per la fase difensiva
Io: segui il numero 15
Lui: smettila, siam qui per giocare e divertirci
dieci secondi dopo il numero 15 scatta tutto solo verso la porta ed il portiere lo anticipa per un soffio.
Io: bravo portiere ed intanto gli indico di passare all'uomo smarcato a destra
Lui: siamo qui per giocare e divertici, quindi smettila di comandare
Io a Carlos, il giocatore argentino di rugby che copre l'altra fascia: copri che vado un po avanti se no a questo lo rovino.
Trenta secondi dopo, a centrocampo Lui fa un entrata che ricorda il miglior Pasquale Bruno (PB), sul numero 15 avversario.
Tutti: siam qui per giocare e divertirci
Io non faccio commenti.
Due minuti dopo il PB fa una nuova entrata da chirurgo cercando di asportare, senza uso dell'anestesia, una parte della cartilagine del ginocchio al numero 7 avversario.
Tutti: smettila siam qui per giocare e divertirci.
Carlos: PB gioca semplice, passa vicino, ascolta e non fare male a nessuno
PB viene sostituito in difesa da altro giocatore e viene indirizzato a marcare la bandierina del calcio d'angolo nel campo avversario. Da quel momento entra più nel vivo del gioco il cane di Carlos che è messo a difendere le borse che il novello PB.

Mattina, ingresso in fabbrica:
Io: per favore, mi dai un passaggio per tornare a Milano?
Collega: si, non c'è problema
Io: Grazie, mi fai sapere tu a che ora partiamo:
Collega: non so, potrebbero essere le 18 come più tardi.
Io: va bene, solo gentilmente me lo fai sapere un po' prima così lancio le procedure di chiusura e non ti faccio aspettare.
Collega: va bene.
Tardo pomeriggio su msn:
Io: ciao, allora sai a che ora partiamo?
Collega: non lo so ancora, comunque più tardi
Io: va bene, solo me lo fai sapere un po' prima così lancio la procedura di chiusura e non ti faccio aspettare
Collega: va bene
Sera inoltrata telefonata in fabbrica:
Collega: allora sei pronto, partiamo adesso
Io: dammi dieci minuti, devo lanciare le procedure di chiusura
Collega: su spicciati.
Io: corro
Collega: dai vado a prendere l'auto e ti aspetto all'uscita
Io: ok
Sera. All'uscita della fabbrica ci sono solo io ed il portiere. Sera +10min. Telefono preoccupato.
Io: ciao sono all'uscita dove sei?
Collega: Sto arrivando
Io: ok (Avrà parcheggiato in un altra città)
Arriva. Sta facendo un giro di telefonate, nel senso che è in macchina con un altro collega e girano intorno al fabbricato per fare delle telefonate.

Giro di telefonate in auto, con un passeggero in più, io:
Collega 1: Ciao Eli, dimmi:
Eli, la segretaria: Sai quanti chilometri ha fatto l'ulisse, ad oggi
Collega 1: Eli, l'ulisse son 2 mesi che è dal meccanico, per l'incidente.
Eli: quindi non avete l'ulisse.
Collega 1: proprio così, son due mesi che usiamo un altra macchina
Eli: va bene, era per rinnovarne il leasing
1 minuto dopo
Collega 2: Ciao Eli,
Eli: Ciao, quanti chilometri avete fatto ad oggi con l'ulisse
Collega 2: Eli, l'ulisse è 2 mesi che è dal meccanico. Ti ricordi, l'incidente?
Eli: ah, è vero, era per rinnovarne il leasing.

Di questo tenore sono state le comunicazioni questa settimana, che comunque verrà ricordata anche per la serata passata parco della Pellerina per il Traffic Free Festival.
Partiamo dicendo che non conoscevo nessuno dei gruppi in scaletta quel giorno, per cui i miei colleghi, sottolineando che sono l'unico negli “enta” , mi chiedono scherzosamente cosa ci viene a fare un matusa come me a tale serata, ma poi m'invitano.
Immaginate ora un grande parco, diviso in tre. In un terzo trovate il Festival Latino Americano, nel secondo le giostre, e nel terzo il Traffic Free Festival che per la serata a me toccata presentava una rassegna di musica elettronica.
Tra la folla di ragazzi, agghindati nelle maniere più strambe e con il tasso antidoping sballato, si vedono famiglie con bambini che pensano di essere finiti nella casa degli orrori e non riescono a capire dove sia l'uscita e la macchina dello zucchero filato.
Ed anche se la musica non è di mio gradimento mi piace essere tra la gente che balla, si muove, cerca di parlarsi o si cerca solamente tra la folla. Guardo i miei colleghi, e se anche per un attimo mi sento un matusa, bastano due battute ed ecco che l'età non pesa più, che anch'io sono un ragazzo che prova a ballare seguendo l'unz unz che viene sparato sulla folla dalle casse ai bordi del palco.
La mattina dopo la stanchezza e l'unz unz mi fanno compagnia, ma tra tutti i colleghi sono quello messo meglio, e sottolineo che il matusa ha messo a letto tutti i bamboccini.

Nella prossima puntata si parlerà di...

07 luglio 2008

6 Luglio 2006 - 7 Luglio 2008
BUON COMPLEANNO BLOG

05 luglio 2008

Torino - 20° puntata


Ed eccomi tornare a casa, o meglio alla mia stanzetta, per riuscire a vedere il Palio di Siena. Un evento storico, fatto di tradizioni e leggende, che viene proiettato da questo strumento moderno chiamato televisione. Quando accendo questo nuovo focolare davanti a cui la famiglia di solito si riunisce, vedo il “Cencio” già nelle mani dei contradaioli ed il fantino portato in trionfo. Motivi per festeggiare ce ne sarebbero, a partire dall'arrivo di Martina (complimenti a papà Paolino e mamma Marilù), l'ISTRICE che vince il Palio, io che sopravvivo al go-live del progetto. E quale miglior modo se non mangiando un buon gelato...
In quattro e quattro otto, parto per una delle mie escursioni serali, alla ricerca di un buon gelato. Gli indigeni che lavorano con me mi hanno dato un paio d'indicazioni ed ho deciso di provare la prima gelateria dell'elenco.
Nella mia testa c'è anche la speranza che il gelato rinfreschi oltre al corpo anche la resistenza umana che è stata messa a rischio da alcuni personaggi del DE PROFUNDIS, nome in codice utilizzato per motivi di privacy che indica un gruppo di sciroppati che ha remato contro tutta la settimana.
Com'è mio solito appena uscito inizio a guardarmi in giro e noto le varie contraddizioni di questa città, e penso a tutte le contraddizioni di questo periodo.
Esperti, dicono loro, di IT che tengono lezioni di Amministrazione a tre laureate in Economia, esperte di Economia che chiedono a me, laureato in Ingegneria elettronica, come registrare delle fatture, o di future spose che chiedono a single impenitenti aiuto per scegliere dove andare in viaggio di nozze. Gente che elargisce consigli di cucina, quando il piatto migliore che sanno preparare è un quattro salti in padella. Oppure autisti che si lamentano della guida altriu mentre infrangono sette leggi del codice stradale in un colpo solo.
Comunque sono in avanscoperta per le tante vie di Torino ad ammirare l'architettura totalmente diversa da quella di Milano. Cerco di fare, pensare, curiosare come un normale turista, così d'aiutare il mio stanco neurone nella fuga dal lavoro. Ed ecco che in questa via che dovrebbe portarmi all'agognata coppetta con il classico cucchiaino rosso m'imbatto in una serie d'istantanee che potrebbero essere usate per spiegare gli ossimori di questa città. Una chiesa che sorge davanti ad un cinema vietato ai minori, ed io che pensavo che non ne esistessero più; una serie di ristoranti regionali inframezzati da negozi di Kebab e pubblicità di farmaci miracolosi per tornare in forma e palestre ultra attrezzate. Ragazzine stillose con amici grunge.
In piazza Statuto, da una punto nera degna di finire in un museo come esempio di auto inzarrita, ecco diffondersi la voce di Nino d'Angelo in un pezzo storico remixata da chi sa quale DJ. Al suo interno un esempio di giovani rovinati dallo smog, dalla tv, dalle amicizie, dal buco dell'ozono o dalle mie idee un po' troppo retrò. Giro e vedo grandi piazze da cui si diramano piccole vie, palazzi moderni costruiti accanto a ruderi abbandonati che però trasmettono quell'idea di casa che molte delle nuove costruzioni non hanno. Ed ecco che giungo all'agognata gelateria, che anche se l'ora è tarda, presenta davanti ad essa una coda di una trentina di persone che taglia a metà via Garibaldi. Io finisco dietro ad un ragazzo con la cresta, che quando si gira a parlare con gli amici fa più area del condizionatore dell'ingresso. Dietro di me c'è una tipica famiglia anni ottanta, tre bambini vivaci e nonna come optional. Per fortuna che la mia attesa è ripagata da un gelato da 8 in pagella. Un gelato tradizionale, fatto con ingredienti naturali per la riscoperta delle tradizioni, che contrasta con questa città dell'automobile alla ricerca della modernità. E forse anch'io che mi incaponisco a girarla a piedi un po' contrasto con essa. Che dire: “Mi sento un po' agrodolce anch'io”.
Il vedermi incravattato la mattina per andare al lavoro mi sembra un controsenso, una nota stonata, ma non sempre si può scegliere.
Ed ecco che anche questo post pieno di contraddizioni, volge al termine e dice e non dice nulla.

Nella prossima puntata si parlerà di ...

03 luglio 2008

Principe Eugenio - inizio


Caro lettore,

sono seduto qui sulla riva di questo fiume, che lentamente scorre verso il mare e sento il desiderio, o meglio, il bisogno di raccontare la mia storia. Questa necessità nasce dall’esigenza di fare il punto della situazione su questa vita che ha fatto tanta strada ed ora si sente un po’ stanca e cerca un po’ di ombra e di riposo.

Mi chiamo Principe Eugenio, come la via. Principe è il mio vero cognome, ma non corrisponde alla mia condizione sociale, ed Eugenio è uno scherzo di mio nonna, che ha voluto, anzi preteso che mi fosse dato il nome di un suo fratello scomparso una notte di Agosto nell’oceano Atlantico mentre inseguiva i suoi sogni e fuggiva dalle sue radici e da degli obblighi che non sentiva suoi. Cara nonna che ripeteva sempre che “Nobili si deve essere di cuore e non di titolo”. Capace di essere dolce nelle coccole e giustamente dura nelle punizioni. Ammetto che anch’io ho lasciato la mia terra natia, come il mio avo, ma per dovere. Si lettore, proprio per dovere.

Dovevo vivere, lavorare, amare, conoscere, sbagliare, ricordare. Dovevo smetterla di sentire le persone lamentarsi e poi chinare la testa, smetterla di chiedere come favore quello che dovrebbe essere un diritto per poi legarsi a persone che con una mano danno e con due prendono. Dovevo allontanarmi da chi al mio amore ha preferito l’agio ed un dio che si può contare.

Forse tutte queste sono solo scuse per giustificare quella che molti pensano sia una diserzione dai miei compiti, dai miei doveri, una vigliaccheria. Una fuga dal sole, dal profumo dei campi, dal rumore del mare, dall’ombra dei boschi, dal calore di una famiglia che in tutti i modi ha cercato e cerca di tirare avanti, facendo rinunce in alto per aiutare i più piccoli a crescere meglio.

Si forse sono scappato, forse hanno ragione loro, e allora? Non sempre si può sconfiggere il nemico al primo assalto. A volte è meglio ritirarsi dopo una battaglia per tornare all’attacco più avanti, quando si è più forti.

Ho lasciato casa mia per cercare un futuro migliore e poter magari ringraziare in modo tangibile la mia famiglia. E questo che mi ripeto ogni volta che sento di non poter andare avanti. Penso agli sguardi di mio padre con cui era uso comunicare con noi figli; alle mani di mia madre, dure, ruvide e piene di calli ma che erano la medicina per tutti i mali; ai visi dei miei fratelli, alle loro gambe magre che spuntavano dai pantaloncini corti; alle vocine delle mie sorelle, ed ai loro lunghi capelli.Alle risate degli amici, mia unica ricchezza, che ci hanno legato più di un patto di sangue. Al mio primo amore, al primo bacio: caldo, umido, impacciato ed imbarazzante, al secondo ed a tutti quelli venuti dopo. Attingo dai cassetti dei ricordi l’energia per andare avanti.

Era uno degli ultimi giorni di Ottobre e faceva ancora caldo, molto caldo, sicuramente troppo; i più arditi si concedevano ancora tuffi e nuotate in mare, e si potevano ancora trovare persone in spiaggia a salvaguardare l’abbronzatura. Ed in quell’afoso giorno io salivo su un treno che mi avrebbe portato via. La stazione era spazzata da un vento caldo ed umido che aiutava il nodo che avevo in gola a togliermi il respiro. Non c’era nessuno a salutarmi. L’ho voluto io. Era meglio che nessuno perdesse giorni di lavoro o di scuola, e poi non mi erano mai piaciuti gli adii, anche se a ben pensare quello era il primo che assaggiavo. E mentre guardavo fuori dal finestrino avrei voluto che tutti i miei cari fossero lì sulla banchina per poterli stringere ancora una volta ed imprimere sulla mia pelle le loro forme, nel naso il loro profumo, nelle orecchie le loro voci, negli occhi i loro colori, nei baci il loro sapore. Il magone saliva rapida ed una lacrima, la prima e l’ultima, fece capolino e scivolò via lungo il viso teso fino ad arrivare alla bocca dove depositò il suo gusto salato amaro. Avevo promesso a mio nonno, molti anni fa, che non avrei mai più pianto, e cavoli ho fatto di tutto per mantenere quell’antica promessa.

Appena le ruote ferrate iniziarono a scorrere lungo i binari, ed il paesaggio a scorrere fuori dal treno, davanti ai miei occhi iniziarono ad apparire le immagini della mia gioventù spensierata, dei giochi con gli amici, dei giorni di scuola, delle merende dai nonni. I giorni di festa con l’abito buono ed il nonno che mi dava un paio di monete per comprare dolciumi e gelati. Mille e mille ricordi che scorrevano lentamente nel mio cuore. Chi è che ha detto che prima di morire si vede passare tutta la vita davanti come un film? Se è così, allora quel giorno sono morto per rinascere in una nuova persona. Peccato che non sono sicuro che questa persona mi piaccia.