20 giugno 2009

Quanto pesa un NO?

Sono in macchina e sto tornando a casa dopo aver partecipato ad una riunione dell'associazione di volontari di cui faccio parte. Mancavo da più di un anno, da quando è iniziata l'avventura delle trasferte. Vengo accolto dai saluti dei consociati e dalla domanda del presidente dell'associazione:
“La settimana del 26 puoi andare in Abruzzo?”
In un attimo ho dovuto fare il bilancio di molte cose: famiglia, lavoro, amici, impegni, cose da fare etc.etc. Ed alla fine ho dovuto dire un “NO” dispiaciuto.
Un NO che mi è sembrato un masso caduto sul mio spirito e su ciò in cui credo.
E lì è nata la domanda che ora giro a te caro lettore: “Quanto pesa un NO?”
Quanti sono i NO che abbiamo detto?
Quanti quelli che abbiamo ricevuto?
Quanti di questi ci hanno fatto crescere?
Quanti di questi hanno graffiato il nostro cuore, lasciandoci solo con un pugno di ricordi?
Quanti?
Ci sono NO da pubblicità progresso o da banchetto per la raccolta delle firme che fanno bene alla nostra salute, e non solo:

NO AL RAZZISMO – NO ALLA DROGA – NO AL FUMO – NO ALLA VIOLENZA...

oppure i no commerciali, quelli da televendita:
NO ai chili di troppo, ai peli superflui, alle scatole ingombranti, al caldo d'estate ed al freddo d'inverno, agli acheri, ai germi che si nascondono nel water etc.
Quanti NO, eppure non tutti hanno lo stesso peso e non sempre è facile alleggerirli con spiegazioni o ragioni.
Ci sono quei NO che non capiamo, che ci sembrano ingiustizie e che forse lo sono, che ci fanno arrabbiare e poi gridare. Quei NO che fanno la rivoluzione, che fanno alzare e picchiare il tacco della scarpa su un banco del palazzo delle Nazioni Unite, fanno affrontare un carrarmato disarmati, che si traducono in disobbedienza pacifica, che cambiano le leggi o le conservano.
Quei NO COMMENT, molto English, che permettono di non rispondere a domande scomode.
Quei NO detti a gesti, oscillando teste e dita, magari evidenziati da espressioni di disappunto.
Quei divieti che sono solo un'altra versione di un NO.
Quelle frasi sentite da bambino: “...Non si può, non si dice, non si deve, non si fa...” che ancora sentiamo oggi e che qualcuno cantava nell'anno del Mundial.




Sicuramente ce ne saranno ancora molti sulla mia strada, che dovrò dare o ricevere, ma per fortuna ho le spalle larghe e spero il tempo per capirli.

05 giugno 2009

Parigi

2 Giugno 2009
ore 15:00 circa
Aeroporto C. de Gaulle
Parigi

Ed anche questa breve periodo di vacanza giunge al termine. Più che una vacanza è stata una fuga dai tanti pensieri, troppi riguardanti il lavoro, che mi hanno assalito al mio rientro a Milano.
I giorni sono trascorsi veloci come i nostri passaggi nella città. Abbiamo sfruttato al meglio l'abbonamento ai mezzi pubblici ed il senso dell'orientamento del capo scout, mentre io pianificavo le cose da vedere. Sembravamo i nipoti di Mandrake, apparivano in un luogo e poco dopo eravamo in un altro. La metropolitana era il nostro teletrasporto, mezzo comodo ed efficiente, il sogno di ogni pendolare. L'unica cosa che ci fermava erano le code per l'ingresso a qualche monumento o museo, dove il nostro lascia passare non ci faceva oltrepassare le lunghe file di turisti. Ci riposavamo prevalentemente sugli strapuntini delle carrozze del Metro.
È stata una vacanza fatta di code che alla fine abbiamo iniziato ad apprezzare per il semplice fatto che erano l'unico momento in cui non stavamo correndo a vedere qualcosa o salendo un centinaio e più di scalini per vedere la capitale francese dalla sommità dei suoi monumenti.
Si può ben dire che questa città l'abbiamo non solo visitata ma anche scalata: Tour Eiffel, più di 700 scalini per arrivare a prendere un ascensore; Arc de Triomphe due volte, più di 300 scalini per vedere come la città cambia dal giorno alla notte, Notre Dame, più di 350 scalini per vedere la casa del famoso Gobbo, Pantheon, più di 300 scalini sopra le ceneri degli illustri parigini; senza dimenticare Montmartre o le mille rampe della metropolitana.
Credo di avere un milione di foto di Parigi vista dalla cima dei suoi simboli.
Ne abbiamo fatta di strada io e l'Alto, sopra e sotto Parigi... ora che ci penso tra i posti visti, le fermate della Metro sono quelli che abbiamo visitato di più.
Ad un certo punto sembravamo due giapponesi che in solo 3 giorni dovevano vedere e fotografare tutta Parigi, con le nostre macchinette fotografiche a portata di mano per cercare d'immortalare quello che questa splendida città ci mostrava. Non ci siamo potuti esimere dal mangiare la baguette avec le jambon et le fromage o le croissant avec le marmalade o comprare qualche ricordino nei mille negozi per turisti che ci sono sparsi per la città.

Ma basta così. Non voglio descrivervi Parigi perchè merita di essere vista dal vivo, di essere respirata, gustata, camminata, amata, invidiata, odiata, ballata, cantata, incontrata e poi salutata.
Di pagine ricche di parole o foto o quadri su questa città ce n'è parecchi e quando si arriva qui si capisce un po' anche il perchè.
Parigi ha la capacità di risvegliare l'artista che sonnecchia dentro di te. Vorresti essere subito più originale del “tipico” personaggio che sei nella vita. Vorresti essere capace di scrivere pagine bellissime ed emozionanti, di dipingere quadri estasianti, di suonare musiche vibranti o fare qualsiasi cosa che possa essere considerata arte, di quella che ti consegna all'immortalità della storia o solo di un secondo rubato a chi a fatto cadere lo sguardo sulla tua opera.
Parigi val più di una messa vale almeno 1000 ricordi.