30 ottobre 2011

Pale rider

Si svegliò con uno strano sapore in bocca. Provò a cercare di capire cosa fosse e si accorse quasi subito che era rabbia. Una rabbia insensata ed immotivata. Una rabbia pura. Avrebbe voluto urlare contro il cielo che stranamente era ancora buio.
Non capiva. Non capiva il motivo di quella rabbia e perchè fuori fosse buio.
La voglia di rompere o distruggere qualcosa lo prese alla gola. Sentiva che aveva bisogno di sfogarsi, ma non capiva il perchè.
Prese un profondo respiro cercando di introdurre la maggior parte di aria dentro di se e la ributtò fuori un po' alla volta. Si concentrò per mettere a fuoco cosa era successo, ma con pessimo risultato.
Ricordava solo di aver corsa, di essersi sentito bene. E basta. Ma ecco che come bolle in una palude iniziavano a tornare a galla alcuni ricordi.
Il tragitto dal parco a casa.
La doccia calda per cercare di allontanare la stanchezza.
Il pranzo frugale. Ormai da quando era andato a vivere da solo non c'era più la mammina a preparargli pranzetti luculliani.
Aveva provato a leggere mentre la radio trasmetteva i commenti alle partite ma si era addormentato quasi subito, o almeno era questa la sensazione.
Poi buoi. Solo buoi e questa rabbia.
Decise di uscire sul terrazzo e fare qualche esercizio di respirazione. Fuori l'aria era fredda ed umida e lui sperava che potesse servire a fare un po' di chiarezza.
Dieci respiri profondi, ad occhi chiusi provando da prima a fare il vuoto nella sua mente. Ci vollero trenta respiri ed il rischio di un iperventilazione per attenuare quella nera sensazione che lo pervadeva.
Altri venti respiri per cercare di riconquistare la vetta della calma, ma non ce la fece. Quello era il massimo che poteva ottenere. Quel gusto intanto era ancora lì nelle sue papille gustative.
Decise che così poteva bastare.
Aprì gli occhi. Vide la Luna che discretamente e silenziosamente lo osservava dall'alto del cielo buoi. Una Luna pallida e quasi tonda. Quella visione lo ispirò.
Una cascata di immagini si proiettarono nel fondo dei suoi bulbi oculari. Immagini che solo ora avevano un senso. Quel senso era dentro di lui già da tempo ed aveva nutrito quella rabbia nel buio, in attesa che qualcosa la facesse scatenare, mentre il tempo la nutriva a sua insaputa.
Eppure lui ricordava di aver provato già tanto tempo fa ad illuminare quella zona buia, e credeva di esserci riuscito...appunto credeva, ma ora doveva fare i conti con la dura realtà.
Una realtà in cui le favole a volte vedono vincere l'orco o la strega. Dove il principe azzurro spesso guida ubriaca cavalli d'acciaio sotto l'effetto di incantesimi chimici e le principesse sgambettano succinte in cerca di glorie effimere in compagnia di vecchi re bavosi. Dove la notte sa essere a volte davvero buia e spaventosa.
E quella si prospettava anche lunga, molto lunga, forse addirittura lunga.

Da quando aveva avuto quello strano incidente questo era sempre stato il periodo più cupo per lui.
Quello dove la notte superava il giorno, e tutte le sue paure si davano convegno nella sua testa. Era una stagione dura per lui. Per fortuna che durava poco. Cinquantadue giorni. Solo cinquantadue giorni si ripeteva, e poi ogni sera contava quanta giorni mancavano al solstizio d'inverno. Quello era il suo giorno di festa. Più del Natale e di Capodanno. Il giorno in cui il Sole ricominciava la sua lotte con la notte.

Ora dalle sabbia mobili che sembravano aver inghiottito il suo cervello spuntavano delle bolle, ed in ogni bolla c'era un frammento dei giorni passati. Un fotogramma.
Lui cercava di metterli in ordine quei pezzi per ricostruire la storia passata e trovare il bandolo di quella matassa rossa e nera di odio.
Ed ecco che un immagine alla volta il film iniziava a prendere forma e con lui l'ambientazione, la scenografia, i dialoghi, gli attori e la trama.
Il buco nero colmo di rabbia ricominciò a crescere e si espandeva. Sentiva la bramosia della distruzione farsi largo dentro di lui. La vista per un attimo si offusco intanto che i muscoli si facevano più tesi per poi focalizzarsi su di un volto, anzi su due volti. Visi che lui conosceva molto bene e di cui un tempo si era fidato ma che ora risvegliavano in lui questo istinto primordiale e questo desiderio di violenza.
Andò di corsa in bagno è vomitò. Mentre si trovava abbracciato alla ceramica più grande della casa, unico vero appoggio in quelle situazioni sperava di espellere tutto il male che quelle due persone gli avevano fatto con il loro tradimento, ma nulla. Sembrava che fosse proprio la rabbia a spingere fuori il cibo per avere più spazio dove espandersi.
Svuotato ormai di tutto, si sciacquò la bocca con un po' di collutorio. Il sapore di menta in bocca non gli dava soddisfazione. Andò in cucina e cercò il suo vecchio amico Jack. Trovato ne verso due dita in un bicchiere e tornò in camera da letto. Mentre era seduto sul letto a sorseggiare quel liquido ambrato invecchiato in botti di rovere iniziò a pensare che era solo in quel periodo che ricominciava a frequentare assiduamente JD e Richard Ginori, sapendo già quanto gli sarebbe costato.
Appoggiò il bicchiere ormai vuoto sul comodino e si sdraiò nuovamente.
Voleva addormentarsi e dimenticare. Voleva solo questo, ma ormai l'odio era maturo e la rabbia troppa. Lui cercò di resistere ancora un po' girandosi e rigirandosi nel letto, ma senza fortuna.
Si alzò. Si vesti ed uscì proprio quando una lieve pioggerellina, molto fastidiosa, iniziò a scendere.
Calò il cappello sugli occhi e si incamminò. Non sapeva ancora verso dova ma sapeva che era sulla cattiva strada. Questa era l'unica cosa che sapeva, oltre al fatto che qualcuno avrebbe sofferto quella notte. Il suo dolore doveva essere condiviso e lui non vedeva l'ora di poter essere generoso e donarne a chi glielo avrebbe chiesto... e forse anche a chi no.
Mentre camminava sempre più velocemente il calore del suo corpo contrapponendosi al freddo esterno ed alla pioggia che gli inzuppava lentamente i vestiti dava origine ad un alone che circondandolo gli dava proprio l'aspetto di uno dei quattro cavalieri dell'apocalisse.
Un cavaliere pallido.
E come tutti i cavalieri con una missione da compiere.
Una missione che avrebbe portato alla fine di quello che era e che era stato.
Camminava verso la fine, senza nessuna paura apparente, ma con l'incoscienza tipica di chi si crede predestinato e incolpa il destino ed il caso per le sue sventure, consapevole che per lui la parola futuro aveva perso di significato.