31 ottobre 2011

Clapt, clapt, clapt...

Clapt, clapt clapt... cos'è questo rumore che mi rimbomba nella testa.
Clapt, clapt, clapt... da dove viene e perchè non smette.
Clapt, clapt, clapt... fatelo smettere per favore.
Clapt, clapt, clapt... BASTAAAAAAAAAA.
Si sveglia di soprassalto. Aperti gli occhi si sente ancora più smarrito. Quel rumore gli è rimasto dentro e non riesce a capire dove si trova.
Clapt.clapt, clapt...
sbatte le parlpebre e si guarda istericamente a destra ed a sinistra cercando di mettere a fuoco l'ambiente circostante.
È sdraiato su una panchina in un parco. Ma quale parco?
Il respiro si fa affannoso e veloce. Il cervello non parte. Le sinapsi sono scollegate.
Clapt, clapt, clapt...
La paura lo afferra alle spalle e cerca di buttarlo giù. Ed intanto quel rumore continua a suonargli le meningi come se fossero bonghi.
Clapt, clapt, clapt...sempre lo stesso ritmo.
Sta impazzendo, anzi è già impazzito pensa, mentre il suo corpo è percorso da brividi che lo fanno tremare come quando era bambino ed aveva paura del buio.
Clapt, clapt, clapt... AIUTOOOOOOOOO. Per favore aiutatemi.
Clapt, clapt, clapt... l'unico suono che riesce a sentire. Non sente la sua voce, il vento, i suoni tipici di un parco, ma solo questo incessante clapt, clapt clapt...
Qualcosa gli illumina la faccia.
Chiude gli occhi e cerca istintivamente di coprirsi il volto come un novello vampiro, mentre quel fascio di luce cerca di rompere la sua improvvisata difesa.
Clapt, clpat, clapt...
Una voce giovanile e squillante gli chiede chi sia e cosa stia facendo lì a quell'ora?
Lui gli chiede di abbassare il fascio di luce. In questa maniera può vedere che non è un poliziotto alla Spillane ad interrogarlo ma un ragazzino vestito da scout, con tanto di pantaloncini, fiocco al collo e cappello.
Lui è in difficoltà. Non sa cosa rispondere ed intanto quel suono continua a riecheggiare.
Clapt, clapt, clapt...
Chiede al ragazzo se sente anche lui quel maledetto suono.
Il lupetto gli risponde di si.
Clapt, clapt, clapt...
Lui sbalordito gli chiede cosa produce quel fastidioso insieme di onde sonore.
Clapt, clapt, clapt...
il ragazzo, con la sua torcia illumina un enorme fontanile dove tre rubinetti sgocciolano ad intervalli regolari.
Clapt il primo, clapt il secondo e clapt il terzo, per poi ricominciare la serie.
Lui si metterebbe a ridere se no si sentisse così stupido e perduto allo stesso tempo.
Chiede al ragazzo dove si trovano.
Il ragazzo risponde che si trovano al centro del parco di R.... e quello è l'abbeveratoio e lui è venuto a riempire la sua borraccia.
Il novello David Crocket non si è però dimenticato che lui non gli ha dato ancora le sue generalità e quindi si fa di nuovo sotto.
Gli dice il suo nome, ma non perchè lo ricordi, ma più perchè è un riflesso istintivo, mentre non sa come giustificare la sua presenza lì.
Prova ad alzarsi dalla panchina ma è tutto indolenzito ed una fitta al ginocchio oltre a farlo quasi cadere lo fa lacrimare.
Zoppica così fino al fontanile che prima lo faceva impazzire per lavarsi il viso e cercare di recuperare un po' di lucidità.
In quel mentre si accorge che dall'arrivo del ragazzo non ha più sentito quel maledetto rumore.
Clapt, clapt, clapt...
eccolo di nuovo, ma ora non gli da fastidio ma gli serve per trovare nel buio la via per l'acqua.
Il ragazzino accorgendosi delle sue difficoltà deambulatorie, e rispettando il luogo comune che i boy scout aiutano le persone in difficoltà, gli si avvicina per sostenerlo intanto che illumina il sentiero. Baden-Powell sarebbe fiero di questo suo giovane erede.
Sono solo pochi metri, ma con quel dolore al ginocchio gli sembra di fare chilometri.
Il dolore sembra avere una via preferenziale e dalle giunture della gamba gli arriva direttamente alla base posteriore del cervello.
Si deve fermare dopo pochi passi per prendere fiato.
Ringrazia mentalmente il ragazzo sconosciuto che lo sta aiutando e si ripromette di menzionarlo per la medaglia del buon samaritano.
Arrivano ai tre rubinetti,
Lui apre il primo a destra, mentre il ragazzo, dopo essersi assicurato che lui aggrappato al colonnato riesce a reggersi da solo va a riempire la borraccia in quello di sinistra.
Il ragazzo ha smesso di fare domande ma non di aspettare risposte.
Lui si lava il viso, ed il gelido dell'acqua ha un effetto simile ad una coppia di ceffoni ben assestati. Lo sveglia dal suo torpore. anche se non basta ad accendere nessuna luce nella sua mente.
Il ragazzo gli propone di seguirlo all'accampamento, dove il Gran Mogol ed il resto del gruppo potrà sicuramente aiutarlo, medicandogli la gamba e dandogli qualcosa di caldo da bere. Magari questo lo aiuterà a capire come sia finito in quel posto e perchè ha un ginocchio che lo spezza dal dolore.
Intanto il suono ricomincia.
Clapt, clapt clapt...

30 ottobre 2011

Pale rider

Si svegliò con uno strano sapore in bocca. Provò a cercare di capire cosa fosse e si accorse quasi subito che era rabbia. Una rabbia insensata ed immotivata. Una rabbia pura. Avrebbe voluto urlare contro il cielo che stranamente era ancora buio.
Non capiva. Non capiva il motivo di quella rabbia e perchè fuori fosse buio.
La voglia di rompere o distruggere qualcosa lo prese alla gola. Sentiva che aveva bisogno di sfogarsi, ma non capiva il perchè.
Prese un profondo respiro cercando di introdurre la maggior parte di aria dentro di se e la ributtò fuori un po' alla volta. Si concentrò per mettere a fuoco cosa era successo, ma con pessimo risultato.
Ricordava solo di aver corsa, di essersi sentito bene. E basta. Ma ecco che come bolle in una palude iniziavano a tornare a galla alcuni ricordi.
Il tragitto dal parco a casa.
La doccia calda per cercare di allontanare la stanchezza.
Il pranzo frugale. Ormai da quando era andato a vivere da solo non c'era più la mammina a preparargli pranzetti luculliani.
Aveva provato a leggere mentre la radio trasmetteva i commenti alle partite ma si era addormentato quasi subito, o almeno era questa la sensazione.
Poi buoi. Solo buoi e questa rabbia.
Decise di uscire sul terrazzo e fare qualche esercizio di respirazione. Fuori l'aria era fredda ed umida e lui sperava che potesse servire a fare un po' di chiarezza.
Dieci respiri profondi, ad occhi chiusi provando da prima a fare il vuoto nella sua mente. Ci vollero trenta respiri ed il rischio di un iperventilazione per attenuare quella nera sensazione che lo pervadeva.
Altri venti respiri per cercare di riconquistare la vetta della calma, ma non ce la fece. Quello era il massimo che poteva ottenere. Quel gusto intanto era ancora lì nelle sue papille gustative.
Decise che così poteva bastare.
Aprì gli occhi. Vide la Luna che discretamente e silenziosamente lo osservava dall'alto del cielo buoi. Una Luna pallida e quasi tonda. Quella visione lo ispirò.
Una cascata di immagini si proiettarono nel fondo dei suoi bulbi oculari. Immagini che solo ora avevano un senso. Quel senso era dentro di lui già da tempo ed aveva nutrito quella rabbia nel buio, in attesa che qualcosa la facesse scatenare, mentre il tempo la nutriva a sua insaputa.
Eppure lui ricordava di aver provato già tanto tempo fa ad illuminare quella zona buia, e credeva di esserci riuscito...appunto credeva, ma ora doveva fare i conti con la dura realtà.
Una realtà in cui le favole a volte vedono vincere l'orco o la strega. Dove il principe azzurro spesso guida ubriaca cavalli d'acciaio sotto l'effetto di incantesimi chimici e le principesse sgambettano succinte in cerca di glorie effimere in compagnia di vecchi re bavosi. Dove la notte sa essere a volte davvero buia e spaventosa.
E quella si prospettava anche lunga, molto lunga, forse addirittura lunga.

Da quando aveva avuto quello strano incidente questo era sempre stato il periodo più cupo per lui.
Quello dove la notte superava il giorno, e tutte le sue paure si davano convegno nella sua testa. Era una stagione dura per lui. Per fortuna che durava poco. Cinquantadue giorni. Solo cinquantadue giorni si ripeteva, e poi ogni sera contava quanta giorni mancavano al solstizio d'inverno. Quello era il suo giorno di festa. Più del Natale e di Capodanno. Il giorno in cui il Sole ricominciava la sua lotte con la notte.

Ora dalle sabbia mobili che sembravano aver inghiottito il suo cervello spuntavano delle bolle, ed in ogni bolla c'era un frammento dei giorni passati. Un fotogramma.
Lui cercava di metterli in ordine quei pezzi per ricostruire la storia passata e trovare il bandolo di quella matassa rossa e nera di odio.
Ed ecco che un immagine alla volta il film iniziava a prendere forma e con lui l'ambientazione, la scenografia, i dialoghi, gli attori e la trama.
Il buco nero colmo di rabbia ricominciò a crescere e si espandeva. Sentiva la bramosia della distruzione farsi largo dentro di lui. La vista per un attimo si offusco intanto che i muscoli si facevano più tesi per poi focalizzarsi su di un volto, anzi su due volti. Visi che lui conosceva molto bene e di cui un tempo si era fidato ma che ora risvegliavano in lui questo istinto primordiale e questo desiderio di violenza.
Andò di corsa in bagno è vomitò. Mentre si trovava abbracciato alla ceramica più grande della casa, unico vero appoggio in quelle situazioni sperava di espellere tutto il male che quelle due persone gli avevano fatto con il loro tradimento, ma nulla. Sembrava che fosse proprio la rabbia a spingere fuori il cibo per avere più spazio dove espandersi.
Svuotato ormai di tutto, si sciacquò la bocca con un po' di collutorio. Il sapore di menta in bocca non gli dava soddisfazione. Andò in cucina e cercò il suo vecchio amico Jack. Trovato ne verso due dita in un bicchiere e tornò in camera da letto. Mentre era seduto sul letto a sorseggiare quel liquido ambrato invecchiato in botti di rovere iniziò a pensare che era solo in quel periodo che ricominciava a frequentare assiduamente JD e Richard Ginori, sapendo già quanto gli sarebbe costato.
Appoggiò il bicchiere ormai vuoto sul comodino e si sdraiò nuovamente.
Voleva addormentarsi e dimenticare. Voleva solo questo, ma ormai l'odio era maturo e la rabbia troppa. Lui cercò di resistere ancora un po' girandosi e rigirandosi nel letto, ma senza fortuna.
Si alzò. Si vesti ed uscì proprio quando una lieve pioggerellina, molto fastidiosa, iniziò a scendere.
Calò il cappello sugli occhi e si incamminò. Non sapeva ancora verso dova ma sapeva che era sulla cattiva strada. Questa era l'unica cosa che sapeva, oltre al fatto che qualcuno avrebbe sofferto quella notte. Il suo dolore doveva essere condiviso e lui non vedeva l'ora di poter essere generoso e donarne a chi glielo avrebbe chiesto... e forse anche a chi no.
Mentre camminava sempre più velocemente il calore del suo corpo contrapponendosi al freddo esterno ed alla pioggia che gli inzuppava lentamente i vestiti dava origine ad un alone che circondandolo gli dava proprio l'aspetto di uno dei quattro cavalieri dell'apocalisse.
Un cavaliere pallido.
E come tutti i cavalieri con una missione da compiere.
Una missione che avrebbe portato alla fine di quello che era e che era stato.
Camminava verso la fine, senza nessuna paura apparente, ma con l'incoscienza tipica di chi si crede predestinato e incolpa il destino ed il caso per le sue sventure, consapevole che per lui la parola futuro aveva perso di significato.

23 ottobre 2011

Un giorno come un altro...forse

Caro Lettore,
i giorni iniziano ad accorciarsi in questo autunno ricco di cambiamenti, ed i colori sembrano accompagnare questi cambiamenti. Il cielo azzurro combatte con le nuvole grigie, i colori caldi vanno a scaldare gli alberi che iniziano a perdere le loro foglie. Ma non è dei colori e della stagione che vorrei parlare in questo post, ma di una sensazione che ieri, durante l'esercitazione di Protezione Civile a cui ho preso parte, mi ha colto ed un po' mi ha sorpreso.
Ero lì insieme ai miei colleghi a cercare di fare del mio meglio ma capivo che la sola buona volontà non può bastare. Che in certe situazioni ci vuole anche la conoscenza e la pratica, quelle che a me mancano forse perchè sono stato troppo lontano in questi ultimi anni.
A pranzo poi scorrevano le foto di tutte le azioni a cui il mio gruppo a preso parte ed io che ero sempre da un'altra parte. Al momento della consegna delle benemerenze ecco che mi torna in mente uno strano ricordo.
Io in un ufficio in un piccolo paesino industrializzato del sud della Polonia. Il telefono che squilla appena avevo finito di tranquillizzare le utenti che il terremoto dell'Aquila non aveva toccato me ed i miei familiari. Mi chiamano dal gruppo e mi chiedono la disponibilità per partire. C'è da portare aiuto alla popolazione terremotata. Io sono a dire che sono in Polonia e che non ho la possibilità di essere di aiuto. In tutto il periodo che i miei compagni a turno andranno giù io cercherò di sostituirli nelle attività di ruotine. Piccola cosa, ma era tutto quello che potevo fare allora.
E ieri mi trovavo al tavolo con loro. Gente normale che ha messo a disposizione il proprio tempo per aiutare altre persone. Ed io che... ecco un bel bagno di umiltà. Una riorganizzazione delle priorità. Di cosa è davvero importante e di cosa alla fine non conta poi così tanto.
Ed ecco che mi si accende un'altra lampadina.
In questo periodo molti amici stanno realizzando sogni che anch'io ho. Ed ammetto che un po' so no invidioso a volte, e per questo un po' me ne vergogno. Ma poi ecco che provo a ricordare il momento dei vari annunci. Ecco quelli sono stati istanti di felicità pura. Felice perchè chi mi era vicino era felice. Nulla di più e nulla di meno. Felicità. Magari durata un attimo, ma sono questi gli attimi che ho capito che non voglio perdere.

16 ottobre 2011

Telefonando

Prego resti in attesa, appena sarà possibile la metteremo in contatto con un operatore....
Ecco questi giorni possono essere ricordati come quelli in cui ho attesa che il telefono squillasse e di essere messo in contatto con l'operatore che scrive il mio futuro sul bianco libro del destino.
Ed ogni volta che squilla il telefono, io spero che sia l'Operatore, ed invece no.
Nella cornetta sento voci provenienti da tutto il mondo che dicono:
Mi scusi ho sbagliato numero; ma dove posso trovare tal dei tali; ho solo parcheggiato alla fermata del bus e mi hanno dato la multa, è vero che era in divieto di sosta, ma darmi addirittura la multa; andiamo al cinema questa sera; ci sei per l'aperitivo... ma per fortuna che ogni tanto arriva la classica telefonata che ti rialza il morale.
Di solito è un amico che magari non senti da un po'. Ci fai quattro chiacchiere e vi raccontate le reciproche novità ed il fatto che tu aspetti una serie di telefonate che potrebbero cambiare la tua vita nel breve futuro.
Ed ecco che la prima telefonata che aspetto arriva. Non sento però quello che vorrei sentire. Resto un po' basito e l'operatore mi rimette in attesa, di nuovo, e senza musichetta.
Allora mi metto io a fischiettare per distrarmi un po'.
Il telefono continua a squillare, ma nulla. Non è che avrò sbagliato a digitare i tasti?
L'operatore si fa risentire, questa volta con buone nuove, solo che ora il tempo è poco e le decisioni devono essere prese velocemente.
Passo una notte ricca di pensieri e dubbi, ma in realtà la mattina scopro di aver preso la decisione già da tempo.
Ora non resta che incasellare tutto ed aspettare la prossima telefonata. E dopo quella, un'altra ancora.
Aveva ragione una vecchia reclame: Una telefonata ti allunga la vita