14 luglio 2012

Il maestro Ogu - 2


La locanda era affollata. Tutti i tavoli erano pieni e la faccia dell’oste ricordava i quadri della beatitudine che si vedevano appesi in alcuni postriboli. Il rumore delle voci, delle mandibole che masticavano e del tintinnare dei calici era impressionante. Il maestro Ogu ed il capitano Gedio vennero accolti dalla moglie dell’osta, una donna corpulenta di carnagione chiare con il viso pieno, i capelli ricci e nerissimi che spuntavano ribelli dalla bianca cuffia che indossava.
I due nuovi ospiti, visto il grado di importanza, vennero fatti sedere in una sala attigua, dove trovavano posto alcuni mercanti ed i frati scesi per la questua.
Il tavolo dei mercanti era imbandito di pietanze e brocche di vino, mentre su quello dei frati si vedevano solo una ciotola per commensale, dell’acqua ed una forma di pane. Mentre al primo tavolo si mangiava e si discuteva di acquisti e vendite, sul secondo regnava il silenzio. I due nuovi ospiti vennero fatti accomodare in un tavolo d’angolo che permetteva al capitano di vedere agevolmente chi entrava ed usciva dalla sala.
Ordinarono lo stufato ed una brocca di buon vino. Quelle furono le uniche parole che si dissero sino a quando il desco non accolse i piatti portati da un ragazzo che doveva essere il figlio del padrone. Il silenzio iniziava a farsi pesante. Ci pensò il capitano Gedio ad interromperlo con un brindisi per festeggiare gli affari fatti dal maestro Ogu. Il maestro alzò il calice e bevve un gran sorso di vino.
Anche in quest’epoca di mezzo, come in tutte le precedenti e le future, il buon vino scioglie le lingue e così iniziò l’interrogatorio amichevole del capitano. Il maestro raccontò di aver girato una buona parte del mondo, agli ordini di vari capitani e sotto diverse bandiere. Aveva ricoperto diversi ruoli tra cui cuoco, maestro d’ascia e medico. Questo spiegava l’abilità nel lavorare il legno e l’acquisto di alcune erbe medicali. Le risposte del maestro erano però povere di fronzoli e particolari. Tanto che ad ogni risposta aumentava la curiosità del capitano. Quando la domanda passò a dove avesse imparto a leggere e scrivere il maestro gettò un rapido sguardo al tavolo occupato dai monaci. Disse di aver imparato a leggere da giovane, prima di imbarcarsi nel lungo viaggio che lo aveva portato lì.
In quel momento era entrato nella sala un anziano viandante dal passo claudicante che si recò prima al tavolo dei mercanti e poi a quello dei frati. Ad entrambi i gruppi chiese se avessero visto nel loro viaggio un carro portato da un uomo di corporatura grossa e con una lunga barba nera. Doveva indossare un cappello nero con una piuma di gallo cedrone.  L’uomo era il fratello del viandante. Si erano dati appuntamento nel villaggio di Linoma per quel dì, ma non era riuscito a trovarlo ed era molto preoccupato che gli fosse capitato qualcosa.
Entrambi i tavoli risposero di non aver visto nessuno che corrispondeva a tale descrizione.
Il maestro che aveva sentito chiese all’anziano di avvicinarsi al tavolo per la sorpresa del capitano. Una volta lì gli offrì un calice di vino e poi si rivolse a lui in una strana lingua. Il volto dell’anziano trasfigurò. Rispose nello stesso idioma ed estrasse da sotto il mantello due sacche che poggiò sul tavolo. Il maestro estrasse una moneta da ogni sacca e la diede all’anziano che subito dopo corse fuori dalla locanda. La scene stupì il capitano Gedio che non aveva idea di cosa fosse successo davanti a lui in quei pochi istanti. Il maestro si alzò dal tavolo, e chiedendo il permesso al capitano ancora sbalordito, prese le due sacche e si recò ai due tavoli. Parlò prima con i frati in quello che il capitano intuì essere latino. Il maestro consegno la borsa a quello che sembrava essere il maggiore tra i fratelli.  I frati nel mentre si fecero il segno della croce più volte e si girarono nella direzione del capitano per ringraziarlo. Il maestro allora andò dai mercanti ed anche lì si svolse una scena simile. Questa volta ci fu anche un’alzata di calici ed un brindisi al capitano.
Fatto ciò tornò al tavolo dal capitano che era sempre più sbalordito. Chiese a bassa voce chiarimenti al maestro. Questo gli disse che i due tavoli lo ringraziavano per avergli restituito il mal tolto e per la magnanimità avute con l’anziano. Allora il capitano chiese maggior chiarimenti. Il maestro raccontò al capitano la stesa cosa detta agli altri tavoli.
Disse che l’anziano era un Orlad, regno che si trovava al di là delle montagne, con una famiglia da sfamare.  Il capitano si era accorto del furto con destrezza. Aveva perciò bloccato l’anziano e lo aveva obbligato a restituire il mal tolto. Siccome nessuno si era fatto male, e non volendo rovinare il giorno di festa era stato magnanimo lasciando libero a patto che già quella sera avesse lasciato il villaggio per non farci più ritorno. 

Nessun commento: