21 gennaio 2007

Gioco di squadra

Mi trovo a correre da solo in mezzo al parco per cercare di scaricare un po’ dello stress accumulato durante la settimana. I miei compagni di corsa sono già tornati a casa a causa dei postumi di infortuni di vario genere.
Guardo gli altri podisti. La maggior parte corre con le cuffie nelle orecchie e lo sguardo fisso, quelli allenati, quelli meno allenati hanno il volto trasfigurato con l’espressione tipica di quelli che si chiedono “ma perché”. Mi ritrovo a ripensare ad una cosa che avevo già notato. Com’è diverso correre in compagnia o da soli. Molti pensano che correre sia uno sport individuale, ed invece si sbagliano. Questo è uno sport in cui l’approccio definisce se lo sport è individuale o di gruppo. Correre in gruppo, con le logiche del gruppo, lo rende uno sport di squadra. È “il capo branco” che da il ritmo o che lo controlla, adeguandosi alle necessità del gruppo e della situazione. Se ci si avvicina in maniera solitaria, allora è uno sport individuale. Dove il ritmo è deciso in maniera personale. In questo caso non ci sono le necessità degli altri. Sta tutto nell’approccio.
ed ecco che inizio a ricapitolare gli eventi della settimana lavorativa.
Ci sono state un po’ di rivoluzioni in ufficio, ed il “team” o il “group”, come si usa dire, ha avuto alcuni cambiamenti. Il primo è stato il mettere in opera un piano di sostituzioni. Cioè, nel caso qualcuno del gruppo mancasse, come organizzarsi per affrontare il lavoro. Nel piano presentato dalla responsabile del gruppo non si teneva conto delle varie evoluzioni subite negli ultimi mesi e si continuava a ragionare con una logica di anzianità, dove lei faceva bella figura e noi il mazzo. Io ho cercato di proporre un piano alternativo, con le mie motivazioni che erano legate ad una logica di gioco di squadra, dove tutti dovevano aiutare, e dove quindi noi continuavamo a farci il mazzo, ma almeno questo veniva riconosciuto. Per spiegarlo alla responsabile ho portato l’esempio del passaggio da una difesa a quattro ad una a tre, dove vengono ridefinite le zone di competenza per suddividere il carico di lavoro su tutti.
Apriti cielo. Lei odia i giochi di squadra. Questo avrei dovuto capirlo dall’osservazione dei suoi comportamenti nel gruppo. Lei per l’appunto ha un approccio individualista. La vita si capisce solo guardandola a ritroso, ma va vissuta in avanti. Va bèh.
Dopo aver passato più di un’ora nel spiegarle la filosofia dietro il mio schema, che avevo precedentemente discusso con i colleghi, per cui mi sono beccato una strigliata perché dovevo prima parlare con lei, lei va in riunione con i capi e presente il mio schema. Quando esce guarda i colleghi e chiede come mai nessuno aveva parlato prima. Eccoli che si girano e mi guardano. Per fortuna una collega interviene in mia difesa ricordando che il progetto di sostituzione era stato fatto molto tempo prima, quando il gruppo era formato da altre persone e lo scenario era diverso. Si ferma prima di dire quello che pensiamo tutti. Qui se parli ti cazziano e se non parli ti cazziano lo stesso. Se per caso hai una buona idea, l’idea è del gruppo quando va bene, e del capo se l’idea è veramente buona. Se è una cavolata l’idea è del gruppo meno il capo che aveva detto che era una cavolata.
Solo ora noto che queste cose mi sono state raccontate da tutti quelli che lavorano in un ufficio, oltre ad averle lette nelle strisce di Dilbert. Aspetta, ingegnere occhialuto con cravatte improponibili, colleghe che gli regalano solo due di picche, colleghi stressati o maestri dell’imboscarsi, capi che si pavoneggiano e si fanno belli con il lavoro dei dipendenti sminuendoli e terrorizzandoli con minacce di rappresaglie… a no, fiuuuuuu io non ho un gatto.