Ci
sono eventi che ti cambiano la vita. Non sempre il corso di tutta la vita, ma solo
quella di un piccolo periodo. Eventi che ti fanno scendere dall'aereo che ti
stava facendo volare tra le soffici nuvole per riportarti alla nuda e dura realtà.
L’infortunio.
Ognuno
vive l’infortunio in maniera diversa. C’è chi lo affronta in maniera originale
pensando che questo sia una nuova opportunità. Di questi il caso recente più
noto è quello di Alex Zanardi che dopo l’incidente ha trovato nuovi modi per
essere nuovamente un campione e non solo di sport ma anche di vita. Chi più classicamente cerca di dimenticarlo il prima
possibile, addirittura cercando di cancellarlo perché l’ardore che brucia
dentro è più forte di qualsiasi dolore portandolo fin anche a fare scelte
estreme. Per questo chiedere a Troy Bayliss, che non è la marca di un super
alcolico ma il nome di un pilota di motociclismo che è arrivato a farsi
amputare il mignolo per poter tornare prima in pista. Altri lo accolgono con rassegnazione
in attesa che come è arrivato, così se ne vada. Questa è la situazione più
diffusa tra chi non ha uno staff medico a disposizione e non ama pastiglie e
siringhe.
Io
ho un ginocchio che ha iniziato a fare le bizze un mesetto fa, e sono entrato
così un po’ in crisi.
Ho
cercato di affidarmi al pensiero positivo ripetendomi che non tutti i mali
vengono per nuocere, ma con scarsi risultati.
Ho
provato a ripensare anche a quanto mi solea dire una mia ex collega, che ora
chiamo amica, “chiusa una porta si apre un portone”. Chi sa se quel portone è
fornito di video citofono o ha un portinaio che controlla chi entra e chi esce.
Ecco
questo post è uno sfogo. Uno dei tanti, caro Lettore, fatti su queste pagine. Lo
sfogo per questa mia situazione di infortunato.
Un
infortunato dello sport.
Dopo
mesi di chilometri percorsi ero finalmente riuscito a dare una continuità agli
allenamenti. I primi risultati iniziavano ad arrivare. Nulla di fenomenale a
dire il vero, però piccole soddisfazioni che mi avevano fatto riscoprire il
piacere di correre nei parchi periferici di Milano, qualsiasi fosse il tempo
atmosferico.
Avevo
trovato la routine, se così si può dire, negli allenamenti. Nelle uscite
infrasettimanali e nelle sveglie mattutine domenicali quando il ginocchio ha
deciso di fare crac. Il ginocchio ha iniziato a scricchiolare.
Ho
provato a non crederci. A non pensarci.
Correvo
con un piccolo fastidio, ma continuavo a correre. Non volevo fermarmi.
L’effetto
de-stressante che mi regalava il podismo amatoriale era più forte del dolore all'articolazione. Peccato che il dolore non la pensasse allo stesso modo e non
abbia voluto sentir ragioni. Non ha voluto traslocare altrove, anzi si è
barricato tra menisco, rotula e cartilagini varie fino ad arrivare al punto in
cui ha urlato così forte che non ho potuto più ignorarlo e mi sono dovuto
fermare.
Un
primo stop di poco meno di una settimana. Ho sperato fortemente che bastasse,
ricominciando poi a correre con più frenesia, ma ahimè il dolore si è
ripresentato questa volta moltiplicato per dieci.
Forse
ho sbagliato a riprendere così presto, con tanta foga, ma non volevo perdere
quello che ero riuscito ad ottenere.
Mi
ritrovo così con una bella infiammazione articolare (spero sia solo quello in
attesa di accertamenti).
Dopo
applicazioni di cerotti medicali e ghiaccio; qualche settimana di tristezza; mi
sono reso conto che le uscite serali in abbigliamento sgargiante ed attillato
lungo le strade illuminate scarsamente da qualche lampione… ops forse questo “pensiero”
non mi è venuto proprio bene. Sono andato un po’ fuori tema infortunio e più
dentro il tema sfumato che va per la maggiore quest’anno. Qualcuno potrebbe
pensare a passeggiatrici piuttosto che a podisti.
Ecco
questa è la situazione.
Sono
un podista triste che cerca la sua opportunità in tanto che attende il momento
di tornare a correre.