Caro lettore,
sono seduto qui sulla riva di questo fiume, che lentamente scorre verso il mare e sento il desiderio, o meglio, il bisogno di raccontare la mia storia. Questa necessità nasce dall’esigenza di fare il punto della situazione su questa vita che ha fatto tanta strada ed ora si sente un po’ stanca e cerca un po’ di ombra e di riposo.
Mi chiamo Principe Eugenio, come la via. Principe è il mio vero cognome, ma non corrisponde alla mia condizione sociale, ed Eugenio è uno scherzo di mio nonna, che ha voluto, anzi preteso che mi fosse dato il nome di un suo fratello scomparso una notte di Agosto nell’oceano Atlantico mentre inseguiva i suoi sogni e fuggiva dalle sue radici e da degli obblighi che non sentiva suoi. Cara nonna che ripeteva sempre che “Nobili si deve essere di cuore e non di titolo”. Capace di essere dolce nelle coccole e giustamente dura nelle punizioni. Ammetto che anch’io ho lasciato la mia terra natia, come il mio avo, ma per dovere. Si lettore, proprio per dovere.
Dovevo vivere, lavorare, amare, conoscere, sbagliare, ricordare. Dovevo smetterla di sentire le persone lamentarsi e poi chinare la testa, smetterla di chiedere come favore quello che dovrebbe essere un diritto per poi legarsi a persone che con una mano danno e con due prendono. Dovevo allontanarmi da chi al mio amore ha preferito l’agio ed un dio che si può contare.
Forse tutte queste sono solo scuse per giustificare quella che molti pensano sia una diserzione dai miei compiti, dai miei doveri, una vigliaccheria. Una fuga dal sole, dal profumo dei campi, dal rumore del mare, dall’ombra dei boschi, dal calore di una famiglia che in tutti i modi ha cercato e cerca di tirare avanti, facendo rinunce in alto per aiutare i più piccoli a crescere meglio.
Si forse sono scappato, forse hanno ragione loro, e allora? Non sempre si può sconfiggere il nemico al primo assalto. A volte è meglio ritirarsi dopo una battaglia per tornare all’attacco più avanti, quando si è più forti.
Ho lasciato casa mia per cercare un futuro migliore e poter magari ringraziare in modo tangibile la mia famiglia. E questo che mi ripeto ogni volta che sento di non poter andare avanti. Penso agli sguardi di mio padre con cui era uso comunicare con noi figli; alle mani di mia madre, dure, ruvide e piene di calli ma che erano la medicina per tutti i mali; ai visi dei miei fratelli, alle loro gambe magre che spuntavano dai pantaloncini corti; alle vocine delle mie sorelle, ed ai loro lunghi capelli.Alle risate degli amici, mia unica ricchezza, che ci hanno legato più di un patto di sangue. Al mio primo amore, al primo bacio: caldo, umido, impacciato ed imbarazzante, al secondo ed a tutti quelli venuti dopo. Attingo dai cassetti dei ricordi l’energia per andare avanti.
Era uno degli ultimi giorni di Ottobre e faceva ancora caldo, molto caldo, sicuramente troppo; i più arditi si concedevano ancora tuffi e nuotate in mare, e si potevano ancora trovare persone in spiaggia a salvaguardare l’abbronzatura. Ed in quell’afoso giorno io salivo su un treno che mi avrebbe portato via. La stazione era spazzata da un vento caldo ed umido che aiutava il nodo che avevo in gola a togliermi il respiro. Non c’era nessuno a salutarmi. L’ho voluto io. Era meglio che nessuno perdesse giorni di lavoro o di scuola, e poi non mi erano mai piaciuti gli adii, anche se a ben pensare quello era il primo che assaggiavo. E mentre guardavo fuori dal finestrino avrei voluto che tutti i miei cari fossero lì sulla banchina per poterli stringere ancora una volta ed imprimere sulla mia pelle le loro forme, nel naso il loro profumo, nelle orecchie le loro voci, negli occhi i loro colori, nei baci il loro sapore. Il magone saliva rapida ed una lacrima, la prima e l’ultima, fece capolino e scivolò via lungo il viso teso fino ad arrivare alla bocca dove depositò il suo gusto salato amaro. Avevo promesso a mio nonno, molti anni fa, che non avrei mai più pianto, e cavoli ho fatto di tutto per mantenere quell’antica promessa.
Appena le ruote ferrate iniziarono a scorrere lungo i binari, ed il paesaggio a scorrere fuori dal treno, davanti ai miei occhi iniziarono ad apparire le immagini della mia gioventù spensierata, dei giochi con gli amici, dei giorni di scuola, delle merende dai nonni. I giorni di festa con l’abito buono ed il nonno che mi dava un paio di monete per comprare dolciumi e gelati. Mille e mille ricordi che scorrevano lentamente nel mio cuore. Chi è che ha detto che prima di morire si vede passare tutta la vita davanti come un film? Se è così, allora quel giorno sono morto per rinascere in una nuova persona. Peccato che non sono sicuro che questa persona mi piaccia.
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