05 novembre 2011

Pioggia e ricordi

Seduto sulla poltrona pensa agli eventi degli ultimi giorni con la borsa del ghiaccio sul ginocchio gonfio come un borioso bullo di periferia a guardare questo mare di pioggia che si rovescia dal cielo sulla terra.
Ormai sono ore che è lì a fissare il lampione, da quando uscito dalla doccia, dove l'acqua scendeva, ma calda, e toglieva un po' di quei brividi che lo percorrevano dalla testa ai piedi. E lì che cerca di fare ordine di capire, di stanare qual cosa che continua a sfuggirgli, un po' come la combinazione al Superenalotto.
Non riesce a mettere a fuoco gli eventi ed a distinguere ciò che ha sognato da ciò che è vero.
Una fitta. Il dolore cavalcando non sa quale entità maligna si trasmetteva dalla giunzione della gamba sino al suo cervello, dove come una palla di bowling faceva strike tra le sue cellule grigie.
Aveva cercato ancora conforto tra le braccia del vecchio Jack, ma all'ultimo momento aveva deciso di restare lucido.
Voleva capire cosa gli era successo e cosa gli stava succedendo e come era arrivato sino a lì, ma soprattutto cosa era successo negli scorsi giorni.
La sua mente ogni tanto gli mostrava qualche immagine, ma lui non riusciva a metterle insieme ed a dargli un filo ed una storia.
Stava vivendo un momento di confusione e smarrimento totale.
Guardava fuori e sperava di avere un segno divino che lo illuminasse, ma l'unica cosa che la natura gli mostrava era un cielo grigio ed un muro di pioggia e vento.
Pensò che quel temporale voleva suggerirgli di stare al riparo. Di non uscire a cercare risposte o cose, perchè per quelle ci sarebbe stato tempo dopo. Ora doveva solo mettersi al sicuro ed aspettare che gli eventi climatici gli dessero il permesso di uscire.
In questi momenti, pensò, l'unica cosa da fare era cercare appunto un rifugio sicuro e quale miglior rifugio che i ricordi.
I ricordi belli o tristi della sua vita passata. Di quella vita che ora gli sembra lontana, di un altro, estranea.
Parte da lontano, dal più lontano possibile, perchè sa che dei ricordi lontani, ripuliti dal tempo resta solo la parte migliore. Ed eccolo che si vede con il fratello a giocare da bambino al parco, con i compagni di scuola in gita alla cascina appena fuori questa metropoli. Si chiede se esiste ancora quella cascina e se è vero che esistono bambini che non sanno che il latte viene munto dalle mucche o che sono le galline che fanno le uova. Ricorda il viso del suo compagno di banco che fino ad allora conosceva solo gli animali domestici. Non aveva mai visto una gallina.
Quella scena gli porta alla mente sua nonna nella vecchia casa di un paesino del sud, dove insieme ad altre donne spennavano questi volatili che sarebbero poi finiti in favolosi brodi caldi.
Un brodo di pollo come lo faceva sua nonna, era quello che ci voleva ora. Un brodo che raccoglieva tutti i sapori di quella terra antica, e della loro storia.
Un giorno che faceva i capricci e non voleva saperne di mettersi a tavola e mangiare, dopo essere stato messo in castigo, suo nonno gli raccontò una vecchia storia, che ora i sociologi chiamerebbero favola con una morale, ma che per lui era stata una grande lezione di vita.
Suo nonno era sempre stato una persona di poche parole ma di grandi sguardi. I suoi occhi erano come fari che ti inchiodavano alle tue responsabilità e ti dicevano cosa era giusto e cosa no.
Quindi quando lo raggiunse con quel piatto in camera sua lui era già pronto ad affrontarlo, ed invece il nonno mise il piatto sul davanzale della finestra del cortile dove i figli dei vicini giocavano ed urlavano e si sedette accanto a lui sul letto che fu di una generazione prima di parenti.
Per un poco rimasero in silenzio.
Lui non sapeva cosa fare o dire e si limitò quindi a guardare ed aspettare gli eventi.
Suo nonno all'improvviso cominciò a parlare o meglio a raccontare, ed all'inizio fu la voce a sorprenderlo più che la storia. Una voce che aveva sentito poche volte, più che altro per salutare i conoscenti per strada ed i parenti al telefono o comandare il cane Alì quando andava in campagna a lavorare.
Ricorda benissimo che dopo le parole di quell'uomo che aveva visto la guerra e la ricostruzione, gli anni di piombo e lo yuppismo aveva mangiato il suo piatto e chiesto scusa alla nonna promettendo che non avrebbe più fatto capricci per mangiare. Una delle poche promesse che aveva mantenuto in vita sua.
Promessa che stranamente gli tornava alla mente ogni qualvolta trovandosi lontano da casa doveva mangiare quello che trovava e che a volte non gli sembrava neanche commestibile.
Senti lo stomaco borbottare.
Cercò quasi automaticamente di ricordarsi l'ultima volta che aveva messo qualcosa sotto i denti, ma era troppo in là e richiedeva uno sforzo troppo grande ed inutile in quanto non rispondeva a quel bisogno naturale. Il suo corpo lo richiamava così a prendersi cura di se. A rispondere a quella necessità primaria per la sopravvivenza.
Si alza perciò dalla sua cuccia e zoppicando si reca in cucina.
Apre le varie antine ed il frigo per cercare di mettere insieme un pasto più o meno nutriente.
Quello che ha sono: alcuni pomodori secchi sott'olio, dono di qualche parente; due scatolette di carne in gelatina; un pezzo di formaggio; un pacco di fette biscottate ed una mela che ormai ha perso l'aria peccaminosa ed è tutta una grinza.
Mette tutto sul tavolo ed inizia a mangiare senza logica, mischiando tutti i gusti ed i sapori che tanto non sente.
Butta giù anche un paio di bicchieri d'acqua per favorire la discesa del nutrimento.
Il ginocchio continua a tormentarlo mentre fuori non smette di piovere.
Butta gli avanzi nel cestino apposito e mette i piatti nell'acquaio. Li laverà appena il tempo incontrerà la voglia o quando non se ne potrà più farne a meno.
Torna a sedersi in poltrona, come un vecchio politico, cercando di ricominciare il suo viaggio nei ricordi, ma Morfeo ormai bussa sempre più forte al suo corpo stanco ed è così che scivola verso quel sonno interrotto giorni fa.

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