Sono in macchina in questa notte fredda e buia di fine Ottobre. Le nuvole rispecchiano l’inquinamento luminoso e rendono il cielo di un rosso ovattato. Ogni tanto una luna piena e pelosa sbuca da questa trapunta ed illumina, in maniera ancor più fredda dell’area, il paesaggio. Ma che paesaggio. Questa foschia rende indefiniti i contorni al di fuori dell’abitacolo. Fisso la riga di mezz’aria e la seguo come il naso di uno stupefatto pedina la polvere sullo specchietto. La stazione radio trasmette le solite canzoni d’amore. Dovrei cambiare stazione radio, ma il supporto hi-fi è molto fedele a questa emittente, tanto da farmi sentire solo le sue note. Dopo un po’ la musica risulta tremolante, sembra che la radio abbia preso una brutta tosse rendendo difficoltoso l’ascolto delle sue onde. Forse il mare dell’etere si è leggermente congelato. Fa veramente freddo. Spengo la radio. Come compagno di viaggio è poco di compagnia. Per fortuna il riscaldamento, sparato a palla, lenisce questa gelida serata. Peccato che non ci sia un comando simile per togliere il freddo che sento nel cuore.
Il silenzio mi riporta prepotentemente alla serata appena trascorsa. I pensieri vengono a galla come piccole bollicine di una bevanda troppo gasata.
Telefonata. Cena. Dopo cena. Un bicchierino. Casa. La sua. Baci. Camera da letto. Nudi. Sesso. Non amore. Lei si addormenta. Rivestirsi. La guardo. Uscire. Auto. Fuga.
Ogni volta che la vita colpisce duro mi ritrovo nel letto di una donna a scaricare tutta la mia rabbia e frustrazione. Le reazioni chimiche innescate dall’accoppiamento, all’interno del mio corpo, attutiscono per un po’ l’amaro che la vita mi ha servito. Peccato che questa non sia una cura, ma solo un paliativo. Chi sa lei domani cosa penserà. Si ricorderà della notte brava? Sarò stato anch’io per lei solo uno zuccherino per togliere il gusto di vomito che a volte la vita ti fa sentire in bocca, quando ormai hai ingoiato troppe bruttezze e non ce la fai più a trattenerle. E mentre cerchi di urlare tutta la tua rabbia queste risalgono sino in gola, sino al cavo orale. Ti riempiono la bocca facendo in modo che tu non possa gridare, ma solo sentirne nuovamente il sapore.
L’asfalto scorre lento sotto le ruote della macchina. Non vede l’ora di arrivare a casa, la mia, o meglio della banca sino a quando non finirò di pagare il mio debito con il gentile istituto creditizio che mi ha prestato i soldi per permettere di realizzare il mio sogno. Non essere un bamboccione. Avere uno spazio mio, dove poter essere RE, anche se per ora me ne sento schiavo. Mutuo. Spesa. Pulizia. Riordinare.
Da quanto sono in viaggio? Eppure all’andata non mi sembrava di aver fatto così tanti chilometri. Sarà stata la bramosia. Cerco qualche punto di riferimento, ma nulla. La visibilità è sempre più ridotta e su questa statale non c’è neanche un posto illuminato dove fermarsi. Ci sono solo campi ed alberi. Di giorno questa strada è un parcheggio in movimento. La velocità di crociera solitamente è inferiore a quella di una lumaca in fase di trasloco. Ed ora non passa neanche una macchina. Sono in Italia ma potrei essere in Transilvania. Chi sa se girano vampiri e lupi mannari per questa brughiere.
Frena. Freno. Pedale del freno. Pigio. Ruote bloccate. Un fischio acuto. Sono fermo. L’auto è ferma.
Sono riuscito a bloccarmi a qualche pelo da questa figura che mi si è parata davanti. Il cuore in compenso è partito in una tarantella super accelerata. Sento i battiti rimbombare nel cranio, come se il mio muscolo cardiaco avesse preso l’arteria giugulare e fosso arrivato direttamente tra le orecchie.
Il respiro si è perso. I polmoni cercano di richiamarlo. E per fortuna non c’è bisogno di chiamare chi l'ha visto. È tornato come il più fedele dei collie irlandesi. I polmoni tornano a riempirsi e le corde vocali a vibrare.
La figura è ancora lì. Mi sembra di essere davanti ad una fotografia. L’immagine si fa più nitida a mano a mano che il sangue torna a fluire in maniera uniforme nelle vene. Gli occhi mettono a fuoco l’insieme. Davanti ai fari della macchina c’è una ragazza dai lunghi capelli ricci. Rossi. La pelle lattea ed il vestito nero, come quello di un’educanda, mi fanno ricordare una delle bambole di porcellana che mia nonna teneva sul comò in camera da letto. La corporatura esile, gli occhi grandi , forse anche troppo per l’ovale del suo viso. Il naso è importante, ma non stona sul viso di questa sconosciuta. Un piccolo neo appena sopra il labbro superiore, come andava di moda tra le signore di epoche diverse ed ormai lontane… mi ritrovo così a fare un identikit mentale di questa persona che mi fissa.
Sento il suo sguardo su di me, anzi dentro di me.
Ok le sinapsi cerebrali stanno tornando a fare il loro dovere. Scendo dall’auto e chiedo alla ragazza se va tutto bene, se si è fatta male, ed una nuvoletta di vapore esce, con il suono, dalla mia bocca. Lei segue i miei movimenti tenendo lo sguardo fisso e muovendo leggermente la testa. Ma non mi risponde, forse è ancora spaventata.
Il silenzio mi riporta prepotentemente alla serata appena trascorsa. I pensieri vengono a galla come piccole bollicine di una bevanda troppo gasata.
Telefonata. Cena. Dopo cena. Un bicchierino. Casa. La sua. Baci. Camera da letto. Nudi. Sesso. Non amore. Lei si addormenta. Rivestirsi. La guardo. Uscire. Auto. Fuga.
Ogni volta che la vita colpisce duro mi ritrovo nel letto di una donna a scaricare tutta la mia rabbia e frustrazione. Le reazioni chimiche innescate dall’accoppiamento, all’interno del mio corpo, attutiscono per un po’ l’amaro che la vita mi ha servito. Peccato che questa non sia una cura, ma solo un paliativo. Chi sa lei domani cosa penserà. Si ricorderà della notte brava? Sarò stato anch’io per lei solo uno zuccherino per togliere il gusto di vomito che a volte la vita ti fa sentire in bocca, quando ormai hai ingoiato troppe bruttezze e non ce la fai più a trattenerle. E mentre cerchi di urlare tutta la tua rabbia queste risalgono sino in gola, sino al cavo orale. Ti riempiono la bocca facendo in modo che tu non possa gridare, ma solo sentirne nuovamente il sapore.
L’asfalto scorre lento sotto le ruote della macchina. Non vede l’ora di arrivare a casa, la mia, o meglio della banca sino a quando non finirò di pagare il mio debito con il gentile istituto creditizio che mi ha prestato i soldi per permettere di realizzare il mio sogno. Non essere un bamboccione. Avere uno spazio mio, dove poter essere RE, anche se per ora me ne sento schiavo. Mutuo. Spesa. Pulizia. Riordinare.
Da quanto sono in viaggio? Eppure all’andata non mi sembrava di aver fatto così tanti chilometri. Sarà stata la bramosia. Cerco qualche punto di riferimento, ma nulla. La visibilità è sempre più ridotta e su questa statale non c’è neanche un posto illuminato dove fermarsi. Ci sono solo campi ed alberi. Di giorno questa strada è un parcheggio in movimento. La velocità di crociera solitamente è inferiore a quella di una lumaca in fase di trasloco. Ed ora non passa neanche una macchina. Sono in Italia ma potrei essere in Transilvania. Chi sa se girano vampiri e lupi mannari per questa brughiere.
Frena. Freno. Pedale del freno. Pigio. Ruote bloccate. Un fischio acuto. Sono fermo. L’auto è ferma.
Sono riuscito a bloccarmi a qualche pelo da questa figura che mi si è parata davanti. Il cuore in compenso è partito in una tarantella super accelerata. Sento i battiti rimbombare nel cranio, come se il mio muscolo cardiaco avesse preso l’arteria giugulare e fosso arrivato direttamente tra le orecchie.
Il respiro si è perso. I polmoni cercano di richiamarlo. E per fortuna non c’è bisogno di chiamare chi l'ha visto. È tornato come il più fedele dei collie irlandesi. I polmoni tornano a riempirsi e le corde vocali a vibrare.
La figura è ancora lì. Mi sembra di essere davanti ad una fotografia. L’immagine si fa più nitida a mano a mano che il sangue torna a fluire in maniera uniforme nelle vene. Gli occhi mettono a fuoco l’insieme. Davanti ai fari della macchina c’è una ragazza dai lunghi capelli ricci. Rossi. La pelle lattea ed il vestito nero, come quello di un’educanda, mi fanno ricordare una delle bambole di porcellana che mia nonna teneva sul comò in camera da letto. La corporatura esile, gli occhi grandi , forse anche troppo per l’ovale del suo viso. Il naso è importante, ma non stona sul viso di questa sconosciuta. Un piccolo neo appena sopra il labbro superiore, come andava di moda tra le signore di epoche diverse ed ormai lontane… mi ritrovo così a fare un identikit mentale di questa persona che mi fissa.
Sento il suo sguardo su di me, anzi dentro di me.
Ok le sinapsi cerebrali stanno tornando a fare il loro dovere. Scendo dall’auto e chiedo alla ragazza se va tutto bene, se si è fatta male, ed una nuvoletta di vapore esce, con il suono, dalla mia bocca. Lei segue i miei movimenti tenendo lo sguardo fisso e muovendo leggermente la testa. Ma non mi risponde, forse è ancora spaventata.
Mi avvicino e sento DOON DOON DOON. Tre rintocchi di campana.
Mi blocco, e non solo io. Anche il cuore che prima batteva come i pistoni di una formula uno sul rettilineo di Monza ora si è fermato. Tre rintocchi di campana. Non ricordo di aver visto chiese lungo la strada. Il cuore riprende a camminare. Prima piano e poi sempre un po’ più forte sino a raggiungere il normale funzionamento. Lo sguardo della ragazza è sempre più fisso e pesante. Mi sembra di avere sulle spalle uno zaino pieno di sassi, freddi.
Un brivido mi sale dalla schiena ed arriva sino alla nuca e da lì si dirama verso la radice di ogni capello che non ha ancora salutato i suoi compagni sulla collina sopra la mia fronte.
Mi avvicino ed allungo una mano per scuoterla, ma il contatto con quel essere mi trasmette una scossa che gela le ultime parti ancora calde nel mio corpo. Lei si divincola e fa un passo indietro senza distogliere gli occhi dai miei. Mi fissa come fanno a volte i bovini. Uno sguardo indecifrabile. Dentro le sue iridi nere mi sembra di vedere il vuoto.
Muove le labbra ma non sento alcun suono. Lei continua ad aprire e chiudere la bocca. Le dico che non sento nulla per cui mi avvicino. Scuote la testa. Fa nuovamente un passo indietro e continua a muovere la mandibola, il palato ma le sue corde vocali sono immobili. Fisso allora quelle labbra violacee, esangui, e cerco di leggere il messaggio che mi vuole trasmettere, ma non capisco nulla. Forse sto cercando di leggere un libro scritto in un’altra lingua. Distolgo gli occhi dalla parte bassa del viso richiamato dal suo sguardo che si fa a poco a poco più leggero. I suoi contorni si fanno sempre meno definiti. La nebbia sta scendendo troppo velocemente. La chiamo. Non sento alcun suono. Faccio un passo verso quest’essere sempre più etereo. Grido, ma mi sembra che il suono della mia voce sia tutta dentro di me. Non riesco a sentirlo. Provo ad avvicinarmi ma non riesco più a vederla. Mi guardo in giro, mi volto in tutte le direzioni. Aguzzo la vista neanche stessi cercando l’indizio risolutore di un gioco enigmatico.
Non c’è più. Scomparsa.
Mi guardo in giro. Chiamo. Nulla. Silenzio.
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