Un’altra
giornata spesa tra le quattro mura dell’ufficio volge al termine. Rispondi qua,
sistema la, verifica i dati, controlla perché non funziona, organizza il lavoro
e aspetta per l’ennesima riunione che inizierà con più di mezz’ora di ritardo e
che chi sa se servirà. Alla fine ho il cervello in riserva ed al supermercato
non danno neanche buoni sconto per ricaricarlo un po’.
Esco
mentre il Sole sta inseguendo una nuova alba in paesi più occidentali e
trasformando il suo passaggio in un trasloco in oriente. Come tutti i giorni
feriali mi reco alla fermata della metropolitana che dista poche centinaia di
metri dalla palazzina dove è stato dato alloggio alla mai scrivania e solo
qualche passo dal solito cantiere figlio di una speculazione e della ricerca di
una modernità un po’ miope e poco ecologica.
Il
cielo promette pioggia e la temperatura è in discesa come Tomba nei bei tempi. Mi
guardo distratto in giro cercando di evitare palestrati iphonati che urlano all’auricolare,
qualche condannato dell’aperitivo, un paio di stranieri alla ricerca di luoghi
da fotografare e ristoranti in cui rifocillarsi e lavoratori stressati che
corrono verso case per sedersi magari davanti ad altri schermi alla ricerca di
qualcosa che possa riempire l’attesa dell’amico Morfeo. Bici e motorini,
carichi di impiegati, si muovono un po’ guardinghi a causa del Suvvista sempre
pronto ad attaccarli a qualche palo o ad adagiarli in maniera brusca sul selciato.
Mentre
pregusto il piacere di leggere gli ultimi capitoli dell’amico libro che nelle
ultime settimane mi sta accompagnando nel tragitto casa ufficio ecco che mi
appare LEI.
Bella
come un semaforo, tanto che resto a bocca aperta a guardarla ed ad aspettare
che la luce rossa che mi inchioda immobile ad osservarla passi al verde e mi
indichi, magari, con una freccia che direzione devo prendere. Nessuno suona ma ho
la netta sensazione che tutti siamo fissi a guardare questo sinuoso gestore del
traffico, tanto che si è creato in pochissimo tempo un ingorgo di ormoni
sovraeccitati nella mia testa. Ecco che il semaforo “reale” scatta e LEI
attraversa la strada mentre io impiego un paio di secondi per mettermi n moto
per poter prolungare la sua vista. Rallento anche un po’ per avere il tempo di
godere della sua vista e non rompere la magia che si è creata.
Forse
dovrei dirle qualcosa ma mi sento come Stendhal:
« Ero giunto a quel livello di emozione
dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti ed i sentimenti
appassionati. Uscendo da Santa Croce, ebbi un battito del cuore, la
vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere. »
Ma il fato non sempre è benigno e se con una
mano dona con l’altra toglie. LEI prende la direzione opposta alla mai ed io
sono colto dalla voglia di cambiare casa per potermi trovare alla fine di quei
passi che mi portano via il fiato.
Mi
volto ed è come se mi risvegliassi. Non ho il coraggio di voltarmi per vedere
in quale direzione sta andando. Voglio conservare il sapore di LEI e della sua
illusione.
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