12 novembre 2007

Passo 1


Avevo due scelte in quel momento. Farmene una ragione od iniziare ad odiare. E così ho iniziato ad odiare. Vi chiederete odiare chi o che cosa, a odiare lei, la persona che fino a poco tempo fa amavo. Ma iniziamo dal principio, visto che non è ancora così lontano.
Era l’ultimo ricordo rimastomi di mio nonno. La cartella in finta pelle che mi era stata regalata il primo giorno di scuola e lei, con la sua migliore amica l’aveva utilizzata per distrarre Rudy, il suo cane bavoso mentre gli facevano il bagnetto. Sono entrato in bagno e rovisto lo scempio. La mia prima cartella lì che galleggiava ancora nella bacinella utilizzata da piscina canina. Un fremito, come una specie di scossa mi percorse da capo a piedi. Iniziai a tremare. Lei sapeva quanto ci tenessi a quel ricordo. Quante volte le avrò raccontato la storia di quel oggetto, di quel ricordo. Alla fatica fatta dal mio progenitore per potermela comprare.
Era l’estate del 1980. Come era convenzione i mesi estivi li trascorrevo, insieme ai miei fratelli, con i miei nonni nel paese di origine dei miei genitori. Un paesino molto piccolo rispetto alla città industrializzata in cui vivevo il resto dell’anno.
Ricordo che quando dissi a mio nonno che avevo visto la cartella dei miei sogni, lui mi aveva chiesto di accompagnarlo a vedere questo miracolo della conceria. Solo anni dopo mi resi conto di come era cambiata la vita di mio nonno da quel giorno. Non c’erano più le sigarette e la bottiglia di vino. Bevevo ancora vino, ma sfuso, e le sigarette se le faceva da solo con le foglie di tabacco che raccoglieva nei campi. Ricordo che costringevo mia nonna a passare davanti alla vetrina dove era esposta la cartella, ogni volta che tornavo con lei dalla visita alla bis nonna o a qualche parente o solo a fare due passi nel centro del paese per andare a trovare il nonno al bar. Mio nonno all’epoca lavorava nel bar del dopo lavoro ferroviario, dove il bicchiere di spuma era il premio se mi ero comportato bene. Quando il mio avo non lavorava al bar dava una mano al fratello nella raccolta del tabacco e della frutta. Mi capitava di accompagnarlo. Lì in mezzo i campi lo sentivo raccontare del periodo della guerra, del suo rientro a piedi dai piani di Asiago, del periodo in cui aveva fatto la corte alla nonna. Di come andavano piantati i piedi del tabacco e di come andava raccolto. Quando non ero con lui ero a scorazzare per i campi con i miei procugini ed i figli dei contadini della zona.
Come era solito arrivarono anche i miei genitori, e con loro le gite al mare ed a trovare i parenti più lontani. Erano i giorni più sfrenati e pieni. Mia madre aveva un'organizzazione teutonica. Mattina mare, non prima di essersi fermati a comprare i maritozzi ed i panini alla panetteria vicino alla spiaggia. Sole mare. Rientro a casa per pranzare con i nonni. Pennichella perché il sole era troppo forte. Pomeriggio a fare visita a qualche zio o amico da cui si restava solitamente a cena. Una di quelle cene da mettere a rischio la salute vascolare.
E poi gli ultimi giorni di vacanza. Il rientro a casa, ed all’epoca non si parlava di partenze intelligenti e quindi ci si trovava tutti in autostrada.
La cartella era svanita dai miei pensieri, sino alla mattina del 15 Settembre 1980. Il mio primo giorno di scuola. La sera prima avevo controllato il grembiule ed i vestiti da indossare. Le scarpe erano pulite e tutto era in ordine. E la mattina dopo aver fatto colazione, lavati i denti e la faccia, ero andato in camera mai a vestirmi ed indossare il grembiule, in quel mentre è entrata mia madre con lo zaino in mano. Mi sorride e mi dici che è un regalo di mio nonno. Gliela strappai di mano e la strinsi, l’accarezzai, ne sentii il profumo e la consistenza. La misi sulle spalle e mi nacque un sorriso. La sera di quel primo giorno, mi feci aiutare da mia madre per telefonare a mio nonno per ringraziarlo.

A quello zainetto erano legati la paura del primo giorno di scuola, la sensazione di essere grandi quando avevo capito che le linee ed i cerchietti si erano trasformate in parole, e che le parole potevano essere scritte e lette. Lì avevo celato le prime letterine d’amore scambiate con la ragazzina dai capelli rossi. È stato per un lungo periodo il mio nascondiglio segreto. La cartella in fondo l’armadio. Ci sono state cose di cui forse mi sarei dovuto vergognare, ma quando sei adolescente la vergogna è l’ultima cosa che ti passa per la mente quando hai certe pulsioni. Ci ho custodito i miei attestati prima di appenderli in ufficio, le foto degli amici vicini e lontani, come si diceva una volta. Sempre lì. Mi trasmetteva un senso di sicurezza. Era la mia cassaforte sentimentale. Ed ora non era altro che una poltiglia informe.
Questo era stato il suo ultimo atto dopo avermi detto che mi lasciava perché non la capivo, perché di me non si poteva fidare, perché aveva trovato un altro.
Chiudo gli occhi perché anche se erano aperti non riuscivo a vedere nulla. Sento delle onde di rancore fluire in ogni capillare. Se facessi qualsiasi cosa ora sarebbe violenta e distruttiva. Potrei veramente fare qualcosa di cui potrei pentirmene. Potrei mostrare al mondo uno degli esempi più alti del peccato dell’IRA.
Cerco una posizione simil yoga e inizio a ripetere il mio tantra per questi momenti. ICEMAN ICEMAN ICEMAN sino a quando il cervello da rosso furia torna a diventare grigio. Ed il mio tantra cambia. VENDETTA VENDETTA VENDETTA.

1 commento:

cits74 ha detto...

credo di poter elencare alcuni momenti di quella cartella!
mitica!