Qualche
giorno dopo la fine della festa del raccolto, il capitano Gedio si recò alla
capanna del maestro Ogu accompagnato dal figlio Alopo. Mentre i due si
avvicinavano alla capanna del maestro Ogu questo stava
uscendo dal piccolo boschetto accompagnato dal mansueto Armenio che trascinava
un piccolo tronco.
Quando
il maestro vide la coppia di nuovi venuti affacciarsi al limite del campo si
fermò un attimo per scrutare chi fossero quei due che gli stavano venendo
incontro. D’istinto aveva messo mano alla cintola dove però non trovò l’elsa
della spada ma il manico dell’ascia. Quel riflesso era legato ad una delle sue
tante vite precedenti dove la diffidenza e la prontezza di riflessi erano l’unica
via per rimanere vivi e possibilmente interi. Riconosciuti i due nuovi venuti
riprese il suo cammino verso la sua capanna.
Arrivato
vicino ad una catasta di altri piccoli tronchi. Slegò il tronco e liberò
Armenio dalle corde non prima di avergli però riconosciuto, con una manciata di
sale, il buon lavoro fatto dall’animale. Si tolse l’ascia e gli altri strumenti dalla cintura.
Asciugò il sudore della fronte con un fazzoletto estratto dalla tasca e
ripulitosi alla bene e meglio si avvicinò al capitano ed a suo figlio. I due
erano rimasti fermi ai confini del campo all’ombra della capanna guardando i
vari gesti fatti dal maestro. Al capitano non era sfuggito il gesto fatto dal
maestro quando li aveva scorti, ma lo aveva battezzato come gesto normale per
chi viveva in quell’epoca in cui nelle foreste, come per le vie della città,
una fiera dalle sembianze animalesche o umane, poteva sempre palesarsi davanti
al proprio cammino.
Il
maestro, dopo un cenno di saluto, fece cenno ai due ospiti di accomodarsi in
veranda per godere un po’ d’ombra e di frescura in questi ultimi giorni di sole
che la stagione regalava. Offrì loro
dell’acqua per scacciare la calura legata al lavoro od al cammino. Bevuta la
propria razione il capitano iniziò a parlare ed a spiegare il motivo che aveva
portato lui ed il suo unico figlio maschio sino a lì.
Dopo
i soliti convenevoli, e le parole riempitive per aprire la strada al vero
motivo della venuta, il capo del villaggio chiese al maestro di diventare l’aio
di suo figlio. Il ragazzo cresceva ed era ormai nell’età in cui era bene
iniziare a riempire la testa anche di nozioni e non solo di favole e di giochi,
di iniziare a diventare un uomo. Il capitano avrebbe ovviamente riconosciuto al
maestro un obolo per il lavoro fatto. Mentre questi parlava e cercava di
convincere il maestro il ragazzino continuava a tenere la testa bassa, come se
non volesse mostrare il suo volto. Le braccia conserte e la postura la più
immobile possibile, come se cercasse di nascondersi o di confondersi con il
paesaggio. Il maestro però l’aveva riconosciuto. Era uno dei ragazzini che lo
spiava e che faceva impazzire le donne che andavano al fiume per lavare i panni
con i loro dispetti. Lo aveva visto nel gruppo di ragazzini che avevano dato
fastidio un giorno al povero Armenio pungolandolo con alcuni rami. Lui era
stato circondato dagli altri ragazzini del villaggio che lo incitavano ad
imitarli ma lui era rimasto immobile. Erano i primi giorni in cui era arrivato
al villaggio. Erano i giorni in cul le voci sullo straniero che aveva occupato
la capanna al limite del bosco avevano iniziato a riempire la testa delle
giovani menti di varie fantasie. Il maestro richiamato dai ragli del mansueto
Armenio apparse come una magia davanti al gruppetto che scacciò urla e facendo
vedere bene il bastone nodoso con cui avrebbe ripagato quei maleducati
mocciosi. Il figlio del capitano allora era rimasto immobile a guardare il
nuovo venuto, così uguale ad un uomo e così diverso dall’immagine di orco che
si era fatto prima di scappare anche lui. Finita la sua arringa il capitano
aspettava una risposta da parte del maestro ma questi si rivolse al ragazzo
chiedendogli se lui voleva imparare a leggere, scrivere, far di conto, suonare
etc.
Il
capitano rispose di si, ma il maestro voleva sapere cosa pensasse il ragazzo
non cosa desiderava il capitano e quindi ripeté la domanda rivolgendosi ancora
al giovane seduto di fronte a lui. Il padre allora esortò il figlio a
rispondere, cercando di suggerirgli cosa rispondere, quando il maestro con un
gesto lo azzittì e chiese nuovamente quali fossero le intenzioni del ragazzo.
Questo
a testa bassa rispose di sì. Il maestro lo esortò a ripetere la risposta
guardandolo in faccia senza nascondersi. Il ragazzo allora alzò gli occhi non
prima di aver gettato uno sguardo verso il bastone appoggiato all’ingresso e cercando
di sostenere lo sguardo del maestro disse che voleva imparare.