La
locanda era affollata. Tutti i tavoli erano pieni e la faccia dell’oste
ricordava i quadri della beatitudine che si vedevano appesi in alcuni
postriboli. Il rumore delle voci, delle mandibole che masticavano e del
tintinnare dei calici era impressionante. Il maestro Ogu ed il capitano Gedio
vennero accolti dalla moglie dell’osta, una donna corpulenta di carnagione
chiare con il viso pieno, i capelli ricci e nerissimi che spuntavano ribelli
dalla bianca cuffia che indossava.
I
due nuovi ospiti, visto il grado di importanza, vennero fatti sedere in una
sala attigua, dove trovavano posto alcuni mercanti ed i frati scesi per la
questua.
Il
tavolo dei mercanti era imbandito di pietanze e brocche di vino, mentre su
quello dei frati si vedevano solo una ciotola per commensale, dell’acqua ed una
forma di pane. Mentre al primo tavolo si mangiava e si discuteva di acquisti e
vendite, sul secondo regnava il silenzio. I due nuovi ospiti vennero fatti
accomodare in un tavolo d’angolo che permetteva al capitano di vedere agevolmente
chi entrava ed usciva dalla sala.
Ordinarono
lo stufato ed una brocca di buon vino. Quelle furono le uniche parole che si
dissero sino a quando il desco non accolse i piatti portati da un ragazzo che
doveva essere il figlio del padrone. Il silenzio iniziava a farsi pesante. Ci pensò
il capitano Gedio ad interromperlo con un brindisi per festeggiare gli affari
fatti dal maestro Ogu. Il maestro alzò il calice e bevve un gran sorso di vino.
Anche
in quest’epoca di mezzo, come in tutte le precedenti e le future, il buon vino
scioglie le lingue e così iniziò l’interrogatorio amichevole del capitano. Il maestro
raccontò di aver girato una buona parte del mondo, agli ordini di vari capitani
e sotto diverse bandiere. Aveva ricoperto diversi ruoli tra cui cuoco, maestro
d’ascia e medico. Questo spiegava l’abilità nel lavorare il legno e l’acquisto
di alcune erbe medicali. Le risposte del maestro erano però povere di fronzoli
e particolari. Tanto che ad ogni risposta aumentava la curiosità del capitano. Quando
la domanda passò a dove avesse imparto a leggere e scrivere il maestro gettò un
rapido sguardo al tavolo occupato dai monaci. Disse di aver imparato a leggere
da giovane, prima di imbarcarsi nel lungo viaggio che lo aveva portato lì.
In
quel momento era entrato nella sala un anziano viandante dal passo claudicante
che si recò prima al tavolo dei mercanti e poi a quello dei frati. Ad entrambi
i gruppi chiese se avessero visto nel loro viaggio un carro portato da un uomo
di corporatura grossa e con una lunga barba nera. Doveva indossare un cappello
nero con una piuma di gallo cedrone. L’uomo
era il fratello del viandante. Si erano dati appuntamento nel villaggio di
Linoma per quel dì, ma non era riuscito a trovarlo ed era molto preoccupato che
gli fosse capitato qualcosa.
Entrambi
i tavoli risposero di non aver visto nessuno che corrispondeva a tale
descrizione.
Il
maestro che aveva sentito chiese all’anziano di avvicinarsi al tavolo per la sorpresa
del capitano. Una volta lì gli offrì un calice di vino e poi si rivolse a lui
in una strana lingua. Il volto dell’anziano trasfigurò. Rispose nello stesso idioma
ed estrasse da sotto il mantello due sacche che poggiò sul tavolo. Il maestro
estrasse una moneta da ogni sacca e la diede all’anziano che subito dopo corse
fuori dalla locanda. La scene stupì il capitano Gedio che non aveva idea di
cosa fosse successo davanti a lui in quei pochi istanti. Il maestro si alzò dal
tavolo, e chiedendo il permesso al capitano ancora sbalordito, prese le due
sacche e si recò ai due tavoli. Parlò prima con i frati in quello che il
capitano intuì essere latino. Il maestro consegno la borsa a quello che
sembrava essere il maggiore tra i fratelli. I frati nel mentre si fecero il segno della croce
più volte e si girarono nella direzione del capitano per ringraziarlo. Il maestro
allora andò dai mercanti ed anche lì si svolse una scena simile. Questa volta
ci fu anche un’alzata di calici ed un brindisi al capitano.
Fatto
ciò tornò al tavolo dal capitano che era sempre più sbalordito. Chiese a bassa
voce chiarimenti al maestro. Questo gli disse che i due tavoli lo ringraziavano
per avergli restituito il mal tolto e per la magnanimità avute con l’anziano. Allora
il capitano chiese maggior chiarimenti. Il maestro raccontò al capitano la
stesa cosa detta agli altri tavoli.
Disse
che l’anziano era un Orlad, regno che si trovava al di là delle montagne, con
una famiglia da sfamare. Il capitano si
era accorto del furto con destrezza. Aveva perciò bloccato l’anziano e lo aveva
obbligato a restituire il mal tolto. Siccome nessuno si era fatto male, e non
volendo rovinare il giorno di festa era stato magnanimo lasciando libero a
patto che già quella sera avesse lasciato il villaggio per non farci più
ritorno.
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